martedì 21 dicembre 2004

Pietro Ingrao
secondo La Stampa

La Stampa 21 Dicembre 2004
di Jacopo Iacoboni

SE non stessimo parlando di Pietro Ingrao, il libro intervista Il compagno disarmato potrebbe essere gustato come un’altra puntata di un filone interminabile nella storia marxista: l’Autocritica. Ma con Ingrao, come al solito, le cose diventano più complesse. Alla fine l’Autocritica si rivela come l’altra faccia di un irriducibile messianismo che resiste nello sguardo velato dell’anziano militante. È quello che traghetta il leader stanco da un Pci ancora partigiano fin quasi ai no global di oggi.
Che genere di marxista è stato ed è Pietro Ingrao? Se seguite le pagine dell’intervista raccolta da Antonio Galdo vi imbatterete in un primo capitolo che è tutto un programma, intitolato com’è «L’Errore». Quello con la maiuscola, da cui tutto deriva. È il 3 novembre del ‘56 e il giovane Pietro è in redazione all’Unità, nel ‘48 è stato nominato direttore da Palmiro Togliatti. Arriva la notizia dell’invasione dei carri armati sovietici a reprimere la rivolta di Budapest e il direttore capisce che si è davanti a una svolta tragica. Occorre consultarsi con il Migliore, subito. «Di fronte alla mia incertezza, ai miei dubbi, Togliatti fu molto freddo. Mi disse che non bisognava avere dubbi, e per tagliar la conversazione usò questa frase: “Oggi ho bevuto un bicchiere di vino in più...” Non ebbi la forza di reagire». Ingrao torna al giornale, e scrive l’editoriale che considera l’Errore della sua vita, intitolato seccamente «Da una parte della barricata»: Mosca.
La confessione agra è uno degli ultimi spazi che oggi siano dati per inscenare un dramma storico-politico autentico, non posticcio e televisivo: dunque basterebbero queste parole, amarissime, ad avvicinarci a un libro del genere in modo non rituale. Certo, la «confessione» viene in qualche punto edulcorata, per esempio quando l’autore tenta di salvare, almeno in parte, alcuni dirigenti di allora, Giuseppe Di Vittorio e Umberto Terracini su tutti, dalla responsabilità dell’Errore. Mentre Ingrao non fa sconti a se stesso: quando denuncia i ritardi nella valutazione della minaccia terrorista negli anni di Piombo; quando ammette di non aver previsto la caduta del Muro; o quando ricorda di aver votato nel ‘69 a favore della radiazione dal Pci degli «eretici» del manifesto, oltretutto ingraiani, tra i quali l’amico di una vita Luigi Pintor. Ma ciò che vale, e gli è valso il rispetto di un avversario come il grande Indro Montanelli, è una dimensione nascosta del vecchio pugliese. Una vena religiosa, che tanto lo ha avvicinato, lui ormai novantenne, ai ragazzi di Seattle e persino ai nuovi cattolici.