martedì 21 dicembre 2004

citato al Lunedì
il professor Colli e l'interpretazione di Nietzsche

Repubblica 20.12.04
NELLA SCIA DI NIETZSCHE
Una biografia di Giorgio Colli, a venticinque anni dalla sua scomparsa
Ha lasciato tracce profonde nella cultura del secondo '900
Grande studioso del filosofo tedesco oggi viene celebrato come un maestro
Realizzò la sua impresa con Montinari suo allievo in un liceo di Lucca
Non ebbe mai la cattedra che strameritava: l'università italiana non s'accorse di lui
di FRANCO VOLPI

A venticinque anni dalla sua improvvisa scomparsa - era nato a Torino nel 1917, morì nel 1979 mentre stava lavorando alla Sapienza greca - Giorgio Colli viene celebrato oggi come maestro, filologo e pensatore di statura eccelsa (l'Università di Pisa lo ha ricordato con due giorni di incontro di studio ). Con le sue memorabili imprese editoriali, oltre che con alcuni incisivi scritti cui affidò le sue intuizioni filosofiche, ha lasciato tracce profonde nella cultura del secondo Novecento, come racconta con garbo e sensibilità la biografia intellettuale di Federica Montevecchi (Giorgio Colli, Bollati Boringhieri, pagg. 174 euro18). Solo l'università italiana - sede notoria di croniche e impenitenti ingiustizie - non si accorse di lui e non trovò il modo di assegnargli la cattedra che strameritava. La sua carriera accademica si fermò all'incarico di storia della filosofia antica a Pisa, che tenne dal 1947 fino alla morte.
Formato nell'ambiente liberale e antifascista della Torino anni Trenta - conobbe tra gli altri Pavese, Leone Ginzburg, Martinetti - nel 1939 conseguì la laurea in filosofia del diritto con Gioele Solari, di cui divenne assistente. Vinto nel 1942 il concorso per l'insegnamento della filosofia nei licei, si trasferì a Lucca, dove al liceo classico «Niccolò Machiavelli» ebbe come allievo Mazzino Montinari, con cui avrebbe realizzato l'impresa Nietzsche.
L'intuizione decisiva che sta alla base del suo pensiero e del suo lavoro filologico si trova già nel primo importante studio che pubblicò nel 1948 con la Tipografia del Corriere della Sera in poche centinaia di copie: Physis kryptesthai philei, ovvero La natura ama nascondersi. Ci sono già i suoi riferimenti capitali, i presocratici e Nietzsche: per capire che cosa sia la filosofia - questa speciale forma di sapere che attraversa e caratterizza l'Occidente - bisogna passare per i loro testi e i loro frammenti. La convinzione di Colli è che la dimensione vitale della grecità originaria sia stata colta dal giovane Nietzsche (e da Burckhardt), più che dalla filologia classica dell'epoca. Quest'ultima sarebbe troppo condizionata dalle testimonianze di Aristotele, preziose ma ingannevoli per la terminologia e il bagaglio concettuale di cui Aristotele si serve nel piegare la «filosofia della natura» delle origini alla propria dottrina delle quattro cause. Nella scia di Nietzsche, Colli intende liberare la comprensione dei «presocratici» da quanto la critica moderna crede di poterne capire tramite Aristotele e Teofrasto. E ne propone una lettura alternativa: i «presocratici» non sono «fisiologi», né tanto meno scienziati della natura in senso moderno, bensì espressione di una sapienza originaria essenzialmente orale (sophia), che muore con la nascita della filosofia, cioè con la genesi del discorso razionalistico (logos) votato alla scrittura. Il pensiero di Platone - Colli si sofferma soprattutto sul Fedone, sul Fedro, sul Simposio (di cui pubblicò più tardi una traduzione) e sul Parmenide - rappresenterebbe il punto di svolta in questa transizione dall'oralità alla scrittura. Si collocherebbe tra la nostalgia per la sapienza orale perduta, di cui la dialettica - rivalutata da Colli contro Nietzsche - sarebbe un'eco sublime, e la decisione per il pensiero logocentrico dell'Occidente. Convinto della superiorità della prima quest'ultimo, egli cerca di lasciar parlare la sua voce non destinata alla scrittura.
Queste tesi, che oggi hanno fatto breccia anche tra gli antichisti, rappresentano il fondamento filosofico del lavoro filologico e del profondo interesse di Colli per la grecità. Esso prenderà corpo in due grandi progetti: una Enciclopedia dell'antichità classica, in venticinque volumi, rimasta allo stato di piano editoriale, e una nuova edizione critica dei frammenti dei «presocratici», in undici volumi, avviata da Adelphi con il titolo La sapienza greca, ma interrotta per la morte di Colli al terzo volume (1977-1980).
Inizialmente, negli anni dopo la guerra, Colli aveva collaborato come consulente e traduttore per Einaudi, portando in Italia autori come Löwith (Da Hegel a Nietzsche, 1949) e Cassirer (Storia della filosofia moderna, 1953). Per la casa editrice torinese realizzò soprattutto la traduzione e il commento dell'intero Organon di Aristotele (1955) e una nuova versione della Critica della ragione pura (1957). In entrambi i casi si distinse per l'arditezza e la sottigliezza di alcune scelte terminologiche. Rese per esempio De interpretazione con Dell'espressione, e la Erscheinung di Kant, anziché con «fenomeno», come aveva fatto Gentile, con «apparenza».
Scelte dalle conseguenze filosofiche che si possono immaginare, e che sarebbe interessante studiare. Nel 1957 iniziò a collaborare anche con la neonata Boringhieri, dirigendo con Montinari l'Enciclopedia di autori classici e traducendo il primo volume dei Parerga e paralipomena di Schopenhauer Ma la vera grande impresa filologica che Colli concepì e realizzò insieme a Montinari, e che gli valse fama mondiale, fu l'edizione critica delle opere e del carteggio di Nietzsche. Già nel 1958 egli aveva sottoposto a Einaudi il progetto, ma senza successo. Dopo vicende alterne, rievocate dalla Montevecchi utilizzando anche documenti d'archivio, la casa editrice Adelphi, allora fondata da Luciano Foà con Roberto Calasso, varò il progetto pubblicando il primo volume delle Opere di Nietzsche. Nel 1967 partì presso de Gruyter anche l'edizione tedesca.
Un'impresa memorabile, che ha messo a disposizione degli studiosi un testo finalmente attendibile delle opere e delle carte inedite di Nietzsche, base imprescindibile per discutere questioni controverse come quella della volontà di potenza e dei postumi dell'ultimo Nietzsche. Le lettere che Montinari scrisse a Colli durante le lunghe permanenze all'Archivio Nietzsche di Weimar - che Giuliano Campioni ha pubblicato (Leggere Nietzsche. All'origine dell'edizione Colli-Montinari, Ets) - sono la testimonianza più eloquente della probità intellettuale e dell´incondizionata dedizione al lavoro scientifico che accomunava i due.
Ciò che in Colli meraviglia - e che lo distingueva da Montinari - è come la versatilità filologica si sposasse in lui con uno straordinario talento e fiuto filosofico. I suoi diari, pubblicati dal figlio Enrico con il titolo La ragione errabonda (Adelphi 1982), sono il registro quotidiano della compresenza nella sua geniale personalità di tali qualità antagoniste. Per trovare invece il distillato puro della sua teoresi, bisogna leggere la Filosofia dell'espressione (Adelphi 1969). Ancora una volta Schopenhauer e Nietzsche fungono da numi tutelari. Da loro egli ricava la convinzione che l'in sé del mondo sia inconoscibile, ma radicalizza l'idea dell'irrapresentabilità originaria servendosi dell'immagine di Dioniso allo specchio. I Titani - narra il mito - attirarono Dioniso fanciullo con dei giochi, tra cui uno specchio, e mentre egli era intento a guardare ciò che vi era riflesso lo sbranano. Lo specchio di Dioniso, strumento di conoscenza e di illusione, in cui si riflette il mondo, simboleggia la totalità delle contraddizioni della vita, che alberga in sé piacere e dolore, spasimo ed estasi, maschile e femminile, desiderio e distacco, gioco e violenza. Ma tutto ciò, la vita, il mondo, è solo «espressione», nel senso metafisico che rinvia a qualcosa che non si lascia conoscere. Tutte le determinazioni e le entità che vi possiamo incontrare, anche quelle ultime come sostanza o individuo, non sono che manifestazioni che esprimono l'irrapresentabilità originaria. Dunque soltanto uno schermo illusorio, il velo e la trama che ci tengono lontani dall´inconoscibile punto d'origine e di ritorno.
Punto che solo la mistica può additarci. Fondamentale diventa allora la critica della conoscenza, che Colli sviluppa mediante un confronto serrato con Aristotele, maestro del pensiero occidentale. Essa mette in questione il logos come costruzione del mondo, ovvero la ragione errabonda che, sì, attraversa ogni cosa e percorre le mille vie del reale, ma in fondo rimane quello che è: espressione accidentale dell'irrapresentabile, di quella Physis - quel «nascimento», come Colli traduceva la parola di Eraclito - che ama nascondersi.
Facendo un passo indietro rispetto alla razionalità costruttrice del mondo, Colli intende risvegliare il senso della sapienza che custodisce l'insondabilità del principio fermandosi dinanzi all'abisso. Fino a diventare una mistica senza Dio.