domenica 6 febbraio 2005

Emanuele Severino

Il Mattino 6.2.05
La bioetica di Severino
Guido Caserza


È un Severino a 360 gradi, che lancia la sua sfida filosofica al pensiero della Chiesa cattolica, il pensatore che ha raccolto i suoi scritti degli ultimi anni nel volume Nascere (Rizzoli, pagg. 286, euro 20). Con questo volume Emanuele Severino irrompe infatti sulla scena pubblica occupandosi di fecondazione eterologica, cellule staminali, tramonto della democrazia e del capitalismo, libertà di insegnamento, rapporto magistratura-politica e, come indicato dal sottotitolo, di «altri problemi della coscienza religiosa». Irrompe con l’armamentario della sua dialettica per passarne al setaccio le posizioni della Chiesa cattolica sull’idea di verità e di natura e su questioni oggi dibattutissime: con un’analisi impietosa rivela le contraddizioni in cui cade il pensiero clericale e indica, al contempo, nell’ineluttabile trionfo della tecnica il destino dell’Occidente. Professore Severino, nel suo libro c’è troppa ricchezza di argomenti e noi dobbiamo scegliere. Parliamo quindi dei temi oggi più dibattuti. Usare gli embrioni umani per i trapianti: per alcuni è omicidio, per altri no. Lei cosa ne pensa? «Possiamo ammettere, anche filosoficamente, rimanendo all’interno del principio aristotelico, che la distruzione dell’embrione è un omicidio. La questione è però tutt’altro che risolta in questi termini. È infatti facile rilevare come i difensori cattolici della vita cadano in palesi contraddizioni. Alcuni di loro sostengono infatti che in certi casi l’omicidio è lecito, una posizione condivisa dalla Chiesa stessa quando accetta il sacrificio dei soldati in una guerra definita giusta e combattuta per il bene della società. In questo senso noi possiamo considerare omicidio l’uso dell’embrione nei trapianti ma solo a condizione di porlo in analogia con altri tipi di omicidi considerati ”leciti”, se esso è perpetrato in funzione di una società di malati, posto ovviamente che non vi siano rimedi alternativi». Altra delicatissima questione, che tocca profondamente la sensibilità dei credenti, è la ricerca sulle cellule staminali umane tratte dagli embrioni in soprannumero. «Discutendo del celibato, a chi gli faceva notare che in virtù di esso non sarebbero più nati uomini, e tanto meno cristiani, Kierkegaard replicava che la questione non lo interessava e, riferendosi all’evangelico ”andate e moltiplicatevi”, parlava di monta equina. Similmente, oggi dovremmo parlare di una monta equina naturale o artificiale che produce miliardi di embrioni. È una questione che si impone alla coscienza dei cattolici perché, se accettiamo l’idea che l’embrione è un soggetto giuridico come gli adulti, dal punto di vista cattolico il maggiore diritto per un essere umano è avere la possibilità di entrare nel regno dei cieli. Ma se in base alle proibizioni della legge attuale si impedisce la nascita degli embrioni si chiude loro in faccia la porta del regno dei cieli, privandoli di un diritto che è infinitamente superiore al diritto di tipo giuridico». Qual è, quindi, la via d’uscita? «Per non privare l’embrione di questo diritto allora dovremmo fare l’opposto di ciò che suggeriva Kierkegaard sulla monta equina, ovvero dovremmo incentivare la produzione del maggior numero possibile di embrioni, affinché possano essere accolti nel regno dei cieli. La prima preoccupazione dei credenti, se vogliono essere coerenti con il loro pensiero, dovrebbe essere questa grandiosa monta naturale o artificiale anche se essa può condurre a un eccidio di embrioni poiché questo eccidio è meno grave di quell’eccidio che si perpetra lasciando questi esseri nel nulla. Lei rileva le contraddizioni del pensiero cattolico, ma non ci dice qual è la sua opinione al riguardo. «La mia opinione non conta nulla, conta piuttosto ciò a cui si riferisce il mio discorso filosofico. Il pensiero filosofico degli ultimi duecento anni ha dimostrato che non esistono limiti alla tecnica e all’agire umano: ci troviamo in una situazione storica in cui contrapporre alla tecnica dei limiti naturali corrisponde al tentativo del passato di resistere alle forze che lo stanno togliendo di mezzo. Le reviviscenze religiose del nostro tempo non sono altro che forme di ”vita apparente”, destinate al tramonto, nostalgie di un mondo naturale, con limiti considerati invalicabili, che non esiste più».