domenica 6 febbraio 2005

il Prometeo del prof.Giorello

La Gazzetta di Parma 5.2.05
Prometeo abita qui


In quel Mediterraneo, definito dal sociologo Edgar Morin in un interessante colloquio col filosofo Giulio Giorello «tourbillon chaotique» , «mare che è insieme madre e matrice» , si dispiegano le vie del mito. Ad inseguirne le tracce, a ripercorrere alcune di queste strade è lo stesso Giorello in un recente, prezioso, saggio edito da Raffaello Cortina nella collana «Scienza e Idee»: «Prometeo, Ulisse, Gilgamesh. Figure del mito» . I miti antichi ci parlano di noi, delle nostre radici culturali, di un passato remoto che si è perduto e che forse mai è esistito, ma il tempo ha fatto di pi ù . Coprendoli con la polvere delle progressive infinite riletture, ne ha in realtà rivelato in luce le pieghe nascoste, un contenuto che nelle successive (e, si badi bene, non libere) trasfigurazioni mostra un nucleo di verità eterna e permanente, pur nelle evidenti differenze. Scrive Giorello: le figure del mito « non si risolvono in un repertorio cui possiamo liberamente attingere. Piuttosto dispongono del loro ( e del nostro) destino, provocando la loro e la nostra metamorfosi » . E' cosí, e su questa strada, che l'antico Titano Prometeo, illustre prototipo di tanti bricconi divini (i «trickster» degli antropologi anglosassoni) e insieme eroe culturale perchè rapitore/ donatore del fuoco, diventa nelle pagine dei coniugi Shelley occasione per una riscrittura che ci parla dell'antico e insieme della modernità. Il «Prometheus Unbound» di Percy Bysshe e il «Frankenstein. O il Prometeo Moderno» di Mary Godwin non sono che anelli di una catena che perde le sue maglie nel passato irrecuperabile di antichissime narrazioni orali, per allungarle poi nell'indefinitezza della postmodernità. Ugualmente, Ulisse, che incarna la figura dell'eterno viandante, eroe del ritorno ma soprattutto della vicissitudine, prende corpo moderno in Leopold Bloom, che il romanzo di Joyce ha consegnato all'eterno dando nuova forma e sostanza ad una anti- Odissea «sub specie temporis nostri». E, per finire, Gilgamesh, il semidio dell'epopea mesopotamica, eroe civilizzatore, contraddittorio e polimorfo, trova asilo nei «Cantos» di un Ezra Pound che ha conosciuto gli «Inferi» di un campo di concentramento. Se pure queste riletture moderne sono il centro irraggiatore da cui si sviluppa a ragnatela il discorso di Giorello, il volume è ricco di testi e di rimandi, di sollecitazioni dotte e coerentemente necessitanti, come a ritrovare, nel labirinto delle oscillazioni dei sensi, un significato ultimo e unico. Questa la premessa programmatica del filosofo: «È a partire da queste figure moderne che ho voluto mettere a fuoco il «dettaglio» del mito, indicando di volta in volta... possibili provenienze ed eventuali dispiegamenti... a sottolineare che il percorso tracciato è determinato dalla geometria del racconto e al contempo scandito dalle scelte di chi via via si ritrova nei panni del narratore» . Narrazione come labirinto, dunque, ma dalla sostanziale geometricità. E narrazione del mito come trasfigurazione polisensa, in quanto dialogo sinottico di interpretazioni. Perchè ogni nuova lettura è sempre una nuova interpretazione, in un gioco senza fine, ma con precisi confini.