domenica 6 febbraio 2005

la critica di Nietzsche a Socrate

Il Giornale di Brescia 5.2.05
Filosofi a confronto per la Ccdc
IL SOCRATE «NICHILISTA» DI NIETZSCHE
Anita Loriana Ronchi


Un odio così violento e programmatico da non ammettere riserva alcuna. Ma cosa può nascondere il giudizio lapidario di Nietzsche all’indirizzo di Socrate? Insiste nel chiamarlo «genio della decadenza» e nell’attribuirgli la responsabilità di gran parte dei mali dell’Occidente, in primo luogo l’elaborazione di quella metafisica che porta alla distinzione di due mondi - l’uno sensibile e l’altro trascendente - e, quindi, alla perdita dell’originaria unità dello spirito dionisiaco. Lo accusa di «pessimismo, di negatività», addirittura punta il dito sulla sua bruttezza fisica, che considera - alla maniera lombrosiana - indice di una «abnormità» intellettuale. Eppure Friedrich Nietzsche, autore irriverente e dissacrante, riserva per il filosofo greco parole bellissime quando si tratta di evocare il «Socrate morente» così come ce lo consegna Platone nell’«Apologia». Il «punto decisivo, il vertice della cosiddetta storia universale»; oppure: «Tutte le strade delle più diverse filosofie della vita ci riportano sempre a lui» . Sembra incredibile, ma è ancora l’autore dello «Zarathustra» ad esprimersi. Quale mistero nasconde, allora, questo rapporto di affinità e antagonismo che nel bene o nel male, lega i due filosofi, l’uno operante agli albori della cultura filosofica e il secondo assurto al ruolo di voce critica della civiltà contemporanea? Un’acuta indagine, ricca anche di spunti psicologici, della questione ha costituito ieri l’avvio del nuovo ciclo «Lezioni di filosofia», promosso dalla Ccdc e dalla Provincia, con la partecipazione di Domenico Venturelli, ordinario di Filosofia morale all’Università di Genova e autore di numerose opere. Introdotto dal prof. Matteo Perrini, che ha a sua volta posto diversi spunti su cui riflettere, lo studioso ha rilevato la nota caratteristica di Nietzsche nel misurarsi «con quei grandi nei quali riconosce una parte della sua personalità, e che deve però combattere per diventare in questo modo se stesso». Sotto questo profilo, accanto a Socrate, si possono annoverare le figure di Paolo e di Gesù, che pure vengono attaccate duramente. A riprova di un conflitto estremamente problematico, conviene citare il frammento del 1875 in cui il filosofo tedesco afferma: «Socrate mi è così vicino, che quasi sempre sono in lotta con lui» . Questa strana empatia va rintracciata, secondo Venturelli, in un «aspetto segreto», la «premeditazione della morte» e va anche messo in relazione col senso del tragico, teorizzato nella «Nascita della tragedia» e nell’ottica del quale il pensatore ateniese diventa artefice di un «rovesciamento della verità cui si era vicini nel mondo». Socrate è descritto come il «tipo dell’uomo teoretico», ma non con un valore auspicabile, come ci si potrebbe aspettare. L’abilità discorsiva, la vocazione alla dialettica e la tendenza al dialogo tradiscono una «natura antimusicale», una «influenza nefasta sull’arte e gli istinti fondamentali dell’esistenza». Uno «sviluppo eccessivo della logica» ha invertito i ruoli dell’istinto e della coscienza, facendo morire la felice intuizione della «unità degli opposti», propria della sensibilità presocratica. «Vincitore di Dioniso», quindi (questa la sua grande colpa), Socrate non si limiterebbe ad un’opera di degenerazione, perfezionata dall’allievo Platone, ma utilizzerebbe il metodo ironico per sorreggere, alla fine, un nuovo ideale etico (ed ascetico), nonché religioso. La chiave di volta per la comprensione del caso risiede, sostiene il prof. Venturelli, nella visione del Socrate prossimo alla fine, mentre si accinge ad ingerire la letale dose di cicuta, cui è costretto dal verdetto dei giudici ateniesi. Qui il filosofo testimonia di «non essere soggetto alla legge della physis», ma che la sua anima appartiene ad un’altra natura ed è già pronta a trasferirsi in altro luogo. Le sue frasi sono rivelatrici: solo la morte è il «medico» che può liberarci dalla terribile malattia di vivere. In questo snodo massimo e paradossale Socrate e Nietzsche tornano a tenersi per mano: entrambi accusati di «empietà» ed empi, casomai, per poter così «rispondere al dio cui si è devoti»; educatori tacciati di essere «corruttori» e nichilisti. «Troppo nichilisti», verrebbe da dire parafrasando Nietzsche, per non far trasparire un profondo attaccamento ad alcuni valori.