domenica 6 febbraio 2005

Lazzaro Spallanzani (1729-1799)
e l'inizo della ricerca sull'inseminazione artificiale

Corriere della Sera 5.2.05
SCIENZA E FEDE
Nel Settecento un uomo di Chiesa inaugurò l’inseminazione artificiale
Spallanzani andò a Costantinopoli per compiere esperimenti e i suoi colleghi a Pavia montarono un intrigo che non riuscì


Chissà se i parlamentari della Casa delle libertà, che hanno recentemente prodotto la più oscurantista tra le normative europee sulla fecondazione assistita, hanno mai sentito parlare di Lazzaro Spallanzani. Chissà se, quando brandiscono i valori della fede cattolica come l’ultimo scudo della natura contro la cultura, i legislatori nostrani hanno il sentimento di vendicare - oltre due secoli dopo - le scoperte tanto straordinarie quanto temerarie del sacerdote emiliano, professore di storia naturale all’Università di Pavia, il padre scientifico della fecondazione artificiale. Chissà se la loro idea di diritto è talmente striminzita da pensare la legge come una nemesi per le colpe accumulate dalla scienza, quando questa osa esplorare i limiti estremi del mistero della vita. Certo è che negli anni Settanta e Ottanta del Settecento, per confutare obsolete teorie zoologiche sull’«aura spermatica» e per pervenire a un’inseminazione in laboratorio, il prete Spallanzani si dimostrò pronto a fare proprio di tutto. Cominciò con gli anfibi, vestendo i rospi con mutande cerate, decapitando un maschio di rana «cavalcante la femmina», dimostrando sperimentalmente la possibilità di una fecondazione artificiale. Continuò con i mammiferi, e raccolse la stupita (oltreché invidiosa) ammirazione della repubblica delle lettere quando trionfalmente gli riuscì di inseminare una barboncina, iniettandole nell’utero il seme ottenuto per «emissione spontanea» da un cane della stessa razza.
Poi, l’apprendista stregone della biologia moderna provò a fecondare uova di rana con sperma di cavallo, e perfino con seme umano: salvo rinunciare a rendere conto in pubblico di questi suoi spericolati esperimenti. Ma in privato, scrivendo agli amici più stretti, Spallanzani ammetteva di voler estendere le proprie ricerche sulla fecondazione artificiale almeno ai grandi quadrupedi (cavalle, vacche, pecore, capre), magari «iniettando in una specie il seme dell’altra». E fu anche per questa ragione - per muoversi liberamente sopra un terreno che la Chiesa avrebbe ben potuto tacciare di contronaturale - che nel 1785 il professor Spallanzani chiese all’Università di Pavia un anno di congedo dall’insegnamento, da trascorrere nella lontana Costantinopoli. Quale luogo più sicuro per sottrarsi a ogni sguardo indagatore che le magnifiche contrade situate all’ombra del Serraglio?
Purtroppo per Spallanzani, il suo anno e mezzo di lontananza da Pavia (non vi fece ritorno che nel gennaio del 1787) rappresentò invece l’occasione che molti suoi colleghi sospiravano da tempo. La lontananza dello scienziato non solo dalla cattedra universitaria, ma dalla sua scrivania di direttore del locale Museo di storia naturale, permise ad altri docenti dell’ateneo pavese di tramare ai danni di Spallanzani un autentico complotto. Profittando del fatto che era capitato al prete emiliano di portarsi a casa alcuni reperti naturalistici del Museo, per analizzarli più comodamente, alcuni noti professori dell’Università di Pavia (aizzati da un’altra figura di religioso, il fisico Gregorio Fontana) organizzarono una vera e propria incursione segreta nel gabinetto privato di cui Spallanzani disponeva nel natio borgo di Scandiano. Trovate tracce della presunta refurtiva, poterono così denunciare il geniale sacerdote alle autorità austriache, presentandolo come nient’altro che un pericoloso delinquente.
Il seguito della vicenda, che espose un luminare della scienza europea al pubblico ludibrio (non mancando di scandalizzare i «pescivendoli» e le «lavandaje» dell’intera Lombardia), può essere ora seguìto da presso grazie a un libro di storia tanto scrupoloso nella ricerca quanto godibile nella lettura: Costantinopoli 1786: la congiura e la beffa , di Paolo Mazzarello. Dove si apprende che - dietro la spinta di Giovanni Antonio Scopoli, il naturalista dell’Università pavese che più direttamente si sentiva in competizione scientifica con Spallanzani - l’entità delle accuse andò via via gonfiandosi, fino a rendere l’ignaro ricercatore nel Bosforo responsabile del furto di «un buon migliajo di pezzi» fra uccelli impagliati, pietre preziose, conchiglie rarissime…
«Si mandano al suplizio sovvente di quelli che lo meritano meno del Ladro di Scandiano», fu il pensoso avviso di un docente di anatomia coinvolto nell’intrigo. Ma la lezione giuridica e morale ch’egli aveva potuto trarre da un Cesare Beccaria, sulla necessaria proporzione fra i delitti e le pene, era degna di miglior causa che una squallida manovra intesa a detronizzare Spallanzani attraverso accuse infamanti. Ebbero un bel darsi da fare, Scopoli, Fontana e gli altri, per comunicare urbi et orbi le malefatte del prete emiliano, redigendo contro di lui una circostanziata circolare e inoltrandola ai quattro angoli della repubblica delle lettere. La reazione dei maggiori scienziati d’Europa non fu altro che d’incredulità e, da ultimo, di rabbia. Come osavano certi professorucoli di Pavia, per meschine rivalità accademiche, gettare fango sopra un uomo che persino un mangiapreti quale Voltaire aveva confessato di ammirare? Gli innocentisti si mobilitarono in favore di Spallanzani con altrettanta energia dei colpevolisti: negli ambienti scientifici del Vecchio Continente, le proteste contro il complotto circolarono più rapidamente ancora che se avessero viaggiato per posta elettronica.
Quando poi il governo milanese si decise a investire della scabrosa faccenda una commissione d’inchiesta (davanti alla quale Spallanzani dovette testimoniare, come un qualunque ladro di polli, subito dopo il suo ritorno da Costantinopoli), l’inconsistenza delle accuse emerse con chiarezza. Da Vienna, per solenne decreto imperiale, Giuseppe II d’Asburgo ordinò quindi che l’affare Spallanzani fosse considerato chiuso. A Milano come a Pavia, le autorità politiche e accademiche non aspettavano altro che questo: l’opportunità di stendere sull’intrigo una spessa coltre di silenzio.
Peccato che il sacerdote Spallanzani avesse l’abitudine di trascurare - quando maneggiava le Sacre Scritture - non soltanto il racconto veterotestamentario sull’origine della vita, ma anche la raccomandazione evangelica di porgere l’altra guancia. La vendetta del professore contro il collega Scopoli fu infatti terribile. Forse per iniziativa diretta di Spallanzani, forse indipendentemente da lui, Scopoli venne spinto a credere che una volgare frattaglia di gallina fosse l’unico esemplare mai rinvenuto in natura di una singolarissima specie di vermi, che lo scienziato si illuse di avere scoperto, ch’egli volle battezzare Physis intestinalis e che pensò bene di dedicare al botanico Joseph Banks, esimio presidente della Royal Society di Londra!
Anche in questo caso, alla repubblica delle lettere bastarono pochi mesi per svelare l’arcano. Ma non pago dell’imbarazzo in cui Scopoli venne allora a trovarsi, Spallanzani si accanì contro il collega con un paio di libelli pubblicati sotto pseudonimo, che magistralmente irridevano alle sue capacità di ricercatore e di divulgatore scientifico. Già nel 1788, il povero Scopoli finì per morirne. E soltanto davanti al cadavere del collega, l’ira funesta del reduce da Costantinopoli poté dirsi placata.

IL PROTAGONISTA
Svelò i meccanismi della riproduzione animale

Lazzaro Spallanzani (1729-1799), originario di Scandiano vicino a Reggio Emilia, studiò filosofia a Bologna e prese gli ordini sacerdotali. Nel 1769 fu nominato professore di storia naturale all’Università di Pavia, dove fu anche direttore del Museo dell’Università e rettore. Si dedicò soprattutto a ricerche sperimentali sulla riproduzione animale: divenne celebre con il Saggio di osservazioni microscopiche , che affermava l’infondatezza della teoria della generazione spontanea, e nel 1777 realizzò la prima fecondazione artificiale, usando uova di rana e di rospo; in seguito fece l’esperimento su una cagnetta. Pubblicò i risultati dei suoi esperimenti e le sue osservazioni nelle Dissertazioni di fisica animale e vegetabile . Oltre che di riproduzione, Spallanzani si occupò anche di circolazione sanguigna, di digestione e di respirazione. Durante il suo viaggio a Costantinopoli nel 1786 venne scatenata ai suoi danni una congiura accademica: il sacerdote venne accusato del furto di reperti del Museo di Pavia, ma la vicenda si concluse con la sua completa assoluzione.

Il saggio di uno studioso di Storia della medicina

Il volume di Paolo Mazzarello «Costantinopoli 1786: la congiura e la beffa. L’intrigo Spallanzani» (pagine 327, 24) è edito da Bollati Boringhieri Il libro ricostruisce il soggiorno di un anno e mezzo che il grande naturalista settecentesco Lazzaro Spallanzani trascorse nella capitale dell’impero ottomano, per proseguire senza problemi i suoi audaci esperimenti sulla riproduzione animale
In quel periodo di assenza dello studioso, alcuni suoi rivali dell’Università di Pavia cercarono di screditarlo con false accuse, che però caddero rapidamente alla prima verifica concreta
L’autore, Paolo Mazzarello, insegna Scienze umane e Storia della medicina presso l’Università di Pavia. Ha scritto diversi saggi, tra cui una biografia di Camillo Golgi, «The Hidden Structure» , apparsa in inglese nel 1999 presso l’editrice Oxford University Press