martedì 1 febbraio 2005

embrioni

La Stampa 1.2.05
«Gli embrioni congelati
bastano per 500 anni»
Giacomo Galeazzi


ROMA. Fecondazione: la mobilitazione dei giuristi per una nuova legge e le ultime frontiere della sperimentazione con gli scienziati che lanciano un appello a utilizzare per la ricerca gli embrioni in sovrannumero ottenuti negli interventi di fecondazione assistita e abbandonati dalle coppie che li hanno generati. «Considerata la rilevanza costituzionale dei valori posti in gioco dalle tecniche di riproduzione assistita, serve una norma che non sia solo un “pro-forma”», invocano i giuristi Augusto Barbera, Aldo Loiodice e Franco Modugno al convegno sulla procreazione assistita organizzato all’Accademia dei Lincei dall’Istituto per la documentazione e gli studi legislativi (Isle). Un «forum» misto scienziati-giuristi mirato a portare il dibattito sulla legge 40 al livello accademico, scientifico e interculturale grazie alla presenza di accademici di fede cattolica, ebraica, musulmana e di impostazione laica. Significativa, in apertura dei lavori, la citazione latina-leitmotiv: «Non dubitiamo che il pretore debba venire in aiuto del concepito: egli è infatti favorito perché venga alla luce, affinché sia introdotto nella famiglia. Questo concepito si deve alimentare perché nasce non solo per il genitore, cui si dice di appartenere, ma anche per la “res publica”». A reclamare una disciplina della materia anche sul piano costituzionale è anche Riccardo Chieppa, presidente emerito della Consulta: «Il punto di partenza deve essere il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, tra cui, in primo luogo, la famiglia come società naturale, compreso il nascituro, in quanto c’è continuità naturale fra il concepimento e l’evento procreativo-generazionale».
Intanto la scienza progredisce senza sosta creando nuovi dilemmi. È previsto per il 2006 in Italia il primo intervento sull’uomo basato sull’uso di cellule staminali prelevate dieci anni fa da feti naturalmente abortiti per curare due gravi malattie neurodegenerative. E arriva così, in piena campagna referendaria, un annuncio importante: l’Italia è in «pole position» nella corsa internazionale alla sperimentazione basata sulle cellule fetali per la cura di patologie del cervello. «Altri due studi sull’uomo - afferma Angelo Vescovi, il co-direttore dell’istituto per la ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele di Milano - sono al nastro di partenza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Abbiamo utilizzato la metà delle cellule prelevate. Le cinque fiale che oggi ci restano permetteranno di ottenere ancora centinaia di migliaia di cellule nervose». In preparazione nei laboratori delle università di Milano e Pavia c’è anche una macchina del tempo cellulare capace di riportare una cellula adulta indietro nello sviluppo, fino a farla tornare ad essere immatura e indifferenziata come era nella fase embrionale. L’obiettivo è arrivare ad ottenere cellule staminali embrionali senza passare per l’embrione. «Tutto ha origine dalla nascita della pecora Dolly perché quell’esperimento ha dimostrato che una cellula adulta può essere de-programmata - precisano i ricercatori -. Si tratta di ricreare attorno ad una cellula adulta un ambiente il più possibile simile a quello presente nell’ovocita».
L’idea di ottenere cellule staminali embrionali senza passare per l’embrione risale ai tempi della commissione Dulbecco, istituita nel 2000 dall’ex ministro della Sanità Umberto Veronesi. La tecnica indicata allora dalla commissione, chiamata Trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe (Tnsa), consisteva nel privare del nucleo un ovocita umano non fecondato e nel trasferire al suo interno il nucleo prelevato da cellule somatiche del paziente in modo che nell’ovocita si sviluppassero cellule staminali con un patrimonio genetico identico a quello del paziente che le ha donate. La nuova strada ora intrapresa prevede la realizzazione in laboratorio dell’ambiente che si trova all’interno dell’ovocita. Sugli aspetti etici, poi, non sempre scienza e religione collidono. «Attualmente l’uso terapeutico delle cellule staminali embrionali è meno avanzato rispetto alle ricerche basate sulle staminali prelevate dai tessuti adulti - ammette Vescovi -. Avere a disposizione le cellule staminali prelevate dagli embrioni abbandonati consentirebbe ai laboratori di poter fare ricerca per i prossimi 500 anni. Quindi non ci sarebbe alcun bisogno di produrre altri embrioni». Però, prima di prendere una decisione in questo senso, «si dovrà essere sicuri che di embrioni sovrannumerari non se ne producano più».


L'Adige 1.2.05
Gli scienziati: «Utilizzarli per la ricerca è più rispettoso che buttarli via»

Appello per gli embrioni orfani


ROMA - Utilizzare per la ricerca gli embrioni in sovrannumero ottenuti negli interventi di fecondazione assistita e abbandonati dalle coppie che li hanno generati: è l´appello lanciato ieri a Roma dal direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell´università di Pavia, Carlo Alberto Redi, e dal co-direttore dell´Istituto per la ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele, Angelo Vescovi, nel convegno sulla procreazione assistita organizzato ieri a Roma, nell´Accademia dei Lincei, dall´Istituto per la documentazione e gli studi legislativi (Isle).
L´obiettivo, hanno precisato gli studiosi, non è utilizzarli per la terapia perchè questo è prematura e presenta oggi molti rischi. Carlo Alberto Redi chiede che «si rispettino gli embrioni che oggi esistono, e quindi di non distruggerli», sulla base di «un´etica della responsabilità» e del desiderio «che partecipino ad un progetto buono nel fine, come la ricerca».
Pur considerando l´uso terapeutico delle cellule staminali embrionali ancora lontano e senz´altro meno avanzato rispetto alle ricerche basate sulle staminali prelevate dai tessuti adulti, Vescovi ha osservato che «bisogna avere una visione illuminata e cercare di poter utilizzate» le cellule staminali prelevate dagli embrioni abbandonati. Averle a disposizione, ha aggiunto, «sarebbe sufficiente a tutti i laboratori per fare ricerca per i prossimi 500 anni. Non ci sarebbe alcun bisogno di produrre altri embrioni». Ma prima di prendere una decisione in questo senso, ha aggiunto, si dovrà «essere sicuri che di embrioni sovrannumerari non se ne producano più».

Il Mattino 1.2.05
Gli scienziati: «Alla ricerca gli embrioni abbandonati»

Roma. Utilizzare per la ricerca gli embrioni in sovrannumero ottenuti negli interventi di fecondazione assistita e abbandonati dalle coppie che li hanno generati: è l’appello lanciato dal direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’università di Pavia, Carlo Alberto Redi, e dal co-direttore dell’Istituto per la ricerca sulle cellule staminali del San Raffaele, Angelo Vescovi, dal convegno sulla procreazione assistita organizzato a Roma. L’obiettivo, precisano gli studiosi, non è utilizzarli per la terapia perchè questo è prematura e presenta oggi molti rischi. Redi chiede che «si rispettino gli embrioni che oggi esistono, e quindi di non distruggerli», sulla base di «un’etica della responsabilità» e del desiderio «che partecipino ad un progetto buono nel fine, come la ricerca». Averle a disposizione, ha aggiunto Vescovi, «sarebbe sufficiente a tutti i laboratori per fare ricerca per i prossimi 500 anni. Non ci sarebbe alcun bisogno di produrre altri embrioni». L’Italia, comunque, è in prima fila nella ricerca sulle cellule staminali prelevate da feti abortiti: è a buon punto l'organizzazione della prima sperimentazione sull'uomo basata sull'uso di cellule fetali altamente selezionate e purificate, prevista per il 2006. Si tratta di uno dei primi test di questo tipo al mondo e l'Italia è fra i primi tre Paesi a intraprendere la sperimentazione, insieme a Stati Uniti e Gran Bretagna.