martedì 1 febbraio 2005

Schopenhauer /2

Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2005-01-31
Le annotazioni stilate dopo il fallimento editoriale del "Mondo come volontà e rappresentazione"
ATHUR SCRIVE A SE STESSO
Di Armando Massarenti


È un filosofo fin troppo consapevole della propria originalità lo Schopenhauer che alla fine del 1818 pubblica il Mondo come volontà e rappresentazione, un libro che si rivelerà subito un flop editoriale. Seguono anni pieni di infelicità e frustrazioni, durante i quali imperversano nelle università filosofi come Jacobi, Fichte, Shelling, Hegel. Ottenuto nel 1820 l'insegnamento a Berlino, Schopenhauer si ostinerà per più di un decennio a tenere le proprie lezioni negli stessi orari di Hegel, che egli considera un pomposo ciarlatano. L'aula è sempre deserta, la sua opera continua a essere ignorata, i fallimenti personali si moltiplicano. Eppure proprio in quegli anni, dal 1818 al 1830, Schopenhauer rafforza anziché indebolire la consapevolezza di sé e del proprio filosofare trasponendo la sua opera teorica in una serie di osservazioni che delineano il profilo di una originalissima filosofia pratica, che sfocerà nei suoi scritti più tardi, i Parerga e paralipomena, da cui otterrà finalmente il meritato riconoscimento.
Raccolti ora in un ponderoso volume, il terzo degli Scritti postumi (il primo, con i materiali preparatori al Mondo, è uscito nel 1996, il secondo è in preparazione), quegli appunti costituiscono, da un lato, un grandioso laboratorio del pensiero dell'ultimo Schopenhauer, e dall'altro una sorta di novello A se stesso di marcaureliana memoria. Un diario che si trasforma, per dirla con Pierre Hadot, in raccolta di "esercizi spirituali" per costruire quotidianamente un'arte di vivere, una saggezza pratica orientata alla "cura di sé", dalla quale anche il lettore non filosofo può trarre grandi insegnamenti.
Sono scritti in cui l'autore, come altri grandi pessimisti dell'Ottocento (Leopardi sopra tutti), trova proprio nella precisione e nell'onestà della descrizione in negativo della natura e della condizione umana un grande motivo di consolazione. Significativa del suo atteggiamento verso la vita e il pensiero è una pagina in cui Schopenhauer afferma che bisogna aspirare "coraggiosamente a fare sempre maggiore chiarezza su se stessi e sul mondo", anche se questo ci porta inevitabilmente a scoprire che ogni felicità e ogni amicizia è "fondata sull'inganno". "Si proceda con fiducia! Senza timore del vuoto che diventa sempre più vasto!"
E aggiunge: "Di una cosa soltanto bisogna essere sicuri: che dietro i veli che si sono tolti non si abbia a scoprire la propria stessa mancanza di valore, perché tale vista è la Gorgone letale. Si sia allora intimamente coscienti del proprio valore, se si vuo allontanare l'inganno, poiché il sentimento della propria pochezza non è solo il dolore più grande, bensì l'unico vero dolore interiore". Niente potrà confortare chi è consapevole della propria pochezza, che si potrà camuffare con l'imbroglio e con l'inganno ma comunque "non a lungo", mentre la "viva consapevolezza del proprio valore è una consolazione onnipotente e perciò va anteposta a ogni bene terreno".
Da questa esigenza estrema di "fare chiarezza" scaturiscono autentiche perle filosofiche, in parte già note al pubblico italiano perché pubblicate in singoli volumetti come L'arte di ottenere ragione esposta in 38 stratagemmi (1991), splendido viaggio nella cattiveria umana in cui Schopenhauer classifica tutti gli "artifici disonesti ricorrenti nelle dispute" mostrandone l'efficacia per far trionfare un'opinione indipendentemente dalla sua verità; e L'arte di essere felici (1997), che ci invita a riconoscere con realismo che "vivere felici" può significare solo vivere il meno infelici possibile, e L'arte di farsi rispettare (1998). Quest'ultimo era in realtà il progetto di un Trattato sull'onore del 1828, il secondo è una Eudomonologia del 1826, mentre il primo appare qui con il suo titolo originario di Dialettica eristica.
"In senso etimologico la dialettica è l'arte del dialogo - scrive Schopenhauer -; poiché però a lungo andare nessun dialogo rimane interessante senza dibattito, la dialettica, per sua stessa natura trapassa nell'eristica. Che è appunto quell'insieme di tecniche, in parte già analizzate da Aristotele, che servono ad avere la meglio anche quando si ha torno.
Descrivere il modo in cui si svolgono tali scontri sleali è parte di un atteggiamento generale orientato al realismo, che si nutre di tutte le raffinatezze imparate dai grandi moralisti francesi, come La Rochefoucauld, ma anche dagli scritti sulla religione naturale di Hume. La verità, ribadisce di continuo Schopenhauer, si addice solo agli animi più elevati. "Per tenere a freno gli animi rozzi e per distoglierli dall'ingiustizia e dalla crudeltà non serve la verità, poiché essi non sono in grado di comprenderla. C'è bisogno dell'errore, di una favola, di una parabola. Da ciò la necessità delle dottrine religiose positive". E il medesimo realismo pervade le riflessioni sulla felicità, sull'onore e sulla morale, con raffinate descrizioni del funzionamento dei vizi e delle virtù, della quali abbiamo dato un piccolo assaggio nella "Filosofia minima" di domenica scorsa con il brano sulla "spudoratezza" come tratto tipico del carattere nazionale degli italiani. Per smascherare il quale possono essere utili, indirettamente, anche molte altre pagine di questo volume.
Si prendano proprio gli stratagemmi per ottenere ragione. Il numero 28 per esempio. "Lo si può adoperare principalmente - suggerisce perfidamente Schopenhauer - quando persone colte disputano davanti ad ascoltatori incolti" e consiste nell' "avanzare una obiezione non valida di cui però solo l'esperto vede l'inconsistenza". Poiché solo l'avversario è un esperto, ma non gli ascoltatori, "ai loro occhi egli viene dunque battuto, tanto più se la nostra obiezione riesce a porre in una luce ridicola la sua affermazione. A ridere la gente è sempre pronta, e quelli che ridono li si ha dalla nostra parte. Per mostrare che l'obiezione è nulla, l'avversario dovrebbe inoltrarsi in una lunga discussione e risalire ai principi della scienza, o cose del genere: ma se lo fa non trova facilmente ascolto". Non vi pervade una strana senzazione? A leggere certi passi di Schopenhauer sembra che abbia appena assistito a un talk show con Brunro Vespa o Giuliano Ferrara.
Arthur Schopenhauer, "Scritti postumi. Volume III. I manoscritti berlinesi (1818-1830)", testo stabilito da Arthur Hübscher, ed. it. diretta da Franco Volpi, a cura di Giovanni Gurisatti, Adelphi, Milano 2004, pagg. 1.040, € 70,00.