giovedì 4 settembre 2003

cervello e clonazione umana

Repubblica 4.4.03
L´INTERVISTA
Ranieri Cancedda, (Società europea sull´ingegneria dei tessuti umani)
"Il cervello è una scatola nera oggi è la nostra grande sfida"
costi elevati Le operazioni sono coperte dal servizio sanitario
uomo bionico Non riesco a immaginare la ricostruzione del corpo

GENOVA - Professor Ranieri Cancedda, se siamo in grado di ricostruire la pelle, le cornee, i tessuti del cuore, le cellule del cervello, allora siamo già arrivati a fabbricare il clone umano?
«Assolutamente no. Se vediamo con serenità quello che si sta facendo, direi che è molto poco. Parliamo dell´ingegneria dei tessuti, non di clonaggio dei gameti. Qui si prendono cellule staminali del paziente e si coltivano ed espandono, sia in vitro, sia in loco. Tutto questo non è nulla di trascendentale».
Se spingiamo l´immaginazione, però, riusciamo a pensare un essere umano integralmente ricostruito?
«No. Ripeto, siamo in grado di rigenerare un numero limitato di tessuti umani, anche se in un prossimo futuro dalle cellule staminali sarà possibile ottenere ghiandole endocrine, come il pancreas. Ma non riesco ad immaginare la ricostruzione del corpo umano».
Trent´anni fa tutto questo era impensabile?
«Oggi siamo in grado di lavorare, anche in modo sofisticato, con la rigenerazione dei tessuti. Agli organi completi si arriverà in futuro: esistono fegato e reni artificiali, ma sono sistemi meccanici dove si possono inserire cellule animali che purificano il sangue».
L´innesto di un osso, di un´intera cornea o di parte di cellule cardiache potrebbe scatenare paure inconsce, rigetti psicologici?
«Macché. È come applicare una protesi: il problema sarebbe se ricostruissimo il cervello, parti che trasmettono stimoli nervosi e sensazioni, ma attualmente questo non è pensabile. Chi si sottopone a un trapianto di cuore non cambia la sua personalità, tantomeno chi rigenera la sua pelle».
Attualmente, ci sono dei settori del corpo umano completamente al buio?
«Il cervello è ancora una scatola nera: sia per il suo funzionamento, sia come base biologica del pensiero; ci sono delle intuizioni, ma nulla di concreto e di dimostrato; anche se si sono fatti passi da gigante nella coltura delle cellule nervose. D´altra parte, solo negli anni Settanta si è iniziata la coltivazione delle cellule e solo a metà degli anni Cinquanta si è saputo che il Dna è il materiale genetico».
Torniamo alle cose che si possono fare, alla rigenerazione dei tessuti. Quanto costa al paziente?
«Nella maggior parte dei casi nulla, è coperta dal Servizio Sanitario Nazionale. Ma le tecnologie hanno costi elevatissimi, perciò occorre fare delle valutazioni sui costi-benefici: sulla qualità di risultato e di vita del paziente. Sebbene la ricostruzione dei tessuti, in genere, accorci i tempi di degenza in ospedale».
In Italia cosa succede rispetto alle altre nazioni?
«Si investe poco sulla ricerca biomedica e non si hanno i meccanismi che consentono di individuare le eccellenze e puntare su quelle. In questo senso siamo una società che scientificamente si autoreferenzia».
Lei, prima di tornare a Genova, dieci anni fa, è stato a lungo in Nigeria e negli Stati Uniti. Perché?
«Mi dispiace vedere come in Italia si stia lasciando disperdere un patrimonio: la ricerca si fa con i ricercatori».
(g.fil.)