giovedì 4 settembre 2003

Corriere della Sera on line, ore 19.40 4.9.03
La critica applaude «Buongiorno, notte», personale racconto dell'omicidio Moro
Maya Sansa: «Io, brigatista divisa in due»
di Paolo Ottolina


VENEZIA – Dopo la strage di Portella della Ginestra («Segreti di Stato») e il Sessantotto («The Dreamers»), tocca a Marco Bellocchio chiudere una sorta di ideale trilogia festivaliera sulla Storia del dopoguerra. Lo fa con «Buongiorno, notte», personalissimo racconto del sequestro Moro, diviso tra precisa ricostruzione storica e ossessioni autoriali che deformano il racconto con sogni, visioni kafkiane, spezzoni in bianco e nero sui partigiani di «Paisà» o su sfilate comuniste nella Piazza Rossa. Un personalissimo racconto di Aldo Moro, destinato a far discutere perché qualcuno vi leggerà un’eccessiva indulgenza nella descrizione di una terrorista (Maya Sansa), decisamente umanizzata e problematica. Per ora, vera standing ovation per Bellocchio e il suo cast da parte della stampa: nell’applausometro della mostra, nettamente battuti Bertolucci e Kitano.

ERRORE, NON FATALITA' - Per smorzare eventuali polemiche, il produttore Giancarlo Leone ha letto una missiva in cui Giovanni Moro, figlio dello statista ucciso, tesse le lodi del film: «Non c'era bisogno di alcun visto o imprimatur da parte della famiglia, ma ho molto apprezzato il film. Bellocchio, scegliendo deliberatamente di riflettere sull’esperienza dell’uomo Aldo Moro in carcere, senza vincoli di ricostruzione storica o fedeltà, ha illuminato aspetti importanti di quella vicenda. La creazione artistica è stata capace, restando tale, di accrescere la conoscenza della realtà». Marco Bellocchio ribadisce invece quella che è la tesi storica di un film anti-storico: «Lasciare uccidere un uomo come Aldo Moro è stato un errore politico. Lo Stato sarebbe stato più forte se avesse trattato, anche se avrebbe dovuto affrontare critiche e attacchi. Guardate quello che succede su Sofri. Ma questi, sono discorsi che si fanno col senno di poi».

IL REGISTA - A chi gli chiede perché quest'ondata di film italiani storico-politici, Marco Bellocchio risponde così: «In verità è un film commissionato, un invito a raccontare il caso Moro arrivato da Rai Cinema. La sfida mi ha progressivamente coinvolto, ma io ben presto ho capito che rispetto a quella tragedia dovevo affermare un’infedeltà, diversamente da altre ricerche storiche o filmiche. Non mi ha mai interessato in questo film capire chi c’era dietro al sequestro, se solo i terroristi, la Cia, il Kgb. Questione che pure resta importante. Ma io ho voluto capire se in questa tragedia ci fosse una traccia che andasse in senso contrario al dramma. E questa traccia è affidata al personaggio di Maya Sansa, alla reazione che in lei nasce a un certo punto».

IL SORRISO DI MAYA - Un racconto del sequestro in cui, pian piano, si insinuano i sogni, anche ad occhi aperti, di Chiara, la brigatista liberamente ispirata ad Anna Laura Braghetti: «Il lavoro sul personaggio è stato graduale – spiega Maya Sansa con lo stesso sorriso che la illuminava in "La meglio gioventù" - perché quando ho incontrato Bellocchio la prima volta non c’era ancora un copione e come unico riferimento mi ha dato il libro della Braghetti («Il prigioniero», ndr). In quella fase iniziale mi sono avvicinato moltissimo a lei, ma poi, con la sceneggiatura in mano, ho scoperto che c’erano molte differenze e ho abbandonato tutto ciò che era conoscenza storico-politica, libri, giornali, e mi sono tuffata nel copione. Che è un viaggio introspettivo e in parte schizofrenico tra fiducia nell’ideologia e scoperta della realtà, quando Chiara capisce cosa vuol dire tenere segregato per settimane un uomo in una cella di un metro e mezzo».

HERLITZKA - «Siamo partiti da molto lontano – aggiunge Bellocchio - dal di fuori dell’appartamento. Poi, una volta costruito l’alloggio, ci siamo arrischiati a guardare dentro la cella. Anzi, in una prima sceneggiatura, Aldo Moro non si doveva vedere, doveva essere solo una voce. Il libro della Braghetti ci è stato utile perché vi abbiamo preso episodi che poi abbiamo cambiato e trasformato». Un Aldo Moro reso da un intenso e applauditissimo Roberto Herlitzka, mattatore a teatro che ogni tanto si presta al cinema: «E’ stata un’esperienza interiore, ho sposato fin dall’inizio la sceneggiatura, che dà un’impronta del film senza nulla di indagatorio, di politico. Ma che piuttosto vuol rendere un’atmosfera, un sentimento, una partecipazione emotiva a una tragedia personale».

DEDICATO AL PADRE - Un Aldo Moro a cui si sovrappone la figura del padre di Marco Bellocchio, a cui il film è dedicato: «Una dedica aggiunta da poco – dice il regista -, perché pian piano ho capito che la figura di Herlitzka andava ad assomigliare a quella di mio padre. Che ho perso adolescente e che avevo rimosso, dimenticato, perché si trattava di un dolore troppo grande». Aggiungge ancora Bellocchio: «Nel film ci sono due sogni, in cui Moro passeggia libero per l’appartamento e la brigatista Chiara vorrebbe liberarlo. Ma poi si blocca quando vede che il pianerottolo è pieno di poliziotti. Scene che danno il senso dello stile spezzato, per nulla realistico del film. Ma che nello stesso tempo sono autobiografiche, perché mi ricordano le passeggiate di mio padre quando ero bambino. Lui ci guardava mentre dormivamo, noi aprivamo gli occhi e vedevamo questa figura quasi irreale».