domenica 7 settembre 2003

Ribellione: gli artisti

Corriere della Sera 7.9.03
Corriere Speciali
IL NOVECENTO DALLA SECESSIONE ALLA BODY ART, I MOVIMENTI CHE HANNO RIDISEGNATO IL MONDO
Cent’anni contro, la ribellione si fa arte
Simbolisti e surrealisti fuggono dalla realtà e scoprono il sogno. Gli espressionisti («degenerati» secondo Hitler) ribaltano i canoni della bellezza. Poi arrivano i dissacranti dadaisti...
di Franco Fanelli


Alla fine dell’Ottocento qualcosa si spezza nel rapporto fra gli artisti e la società. Da allora in poi, gli ideali di bellezza perseguiti per secoli cedono il passo a manifestazioni di dissenso, angoscia, disagio se non addirittura di follia. La crisi inizia nel momento in cui gli artisti si interrogano sulle loro funzioni dopo la scoperta della fotografia, formidabile strumento per la creazione di immagini. Ma al di là delle innovazioni tecnologiche, ci si chiede quale spazio riservi all’arte e alla poesia una società regolata dalle rigide leggi dell’economia e dall’industrializzazione; la tragedia della Prima guerra mondiale, che segna la fine dell’ottimismo positivista e della Belle Époque, ispirerà ulteriori inquietudini. All’artista, che non vuole aderire ai princìpi e ai gusti della nuova società borghese, non resta che la dissidenza, il rifiuto di ogni conformismo e del circuito ufficiale e istituzionale dell’arte, come fecero nel 1897 gli esponenti della Secessione viennese. Ma la storia dei dissidenti inizia con una fuga dalla realtà: il Simbolismo è il movimento europeo che dal 1885 raccoglie gli spiriti inquieti degli artisti «non allineati». La fuga avviene tramite l’evocazione di un mondo parallelo ed esoterico, abitato da allegorie e divinità. Sono le creature dipinte da Odilon Redon e Gustave Moreau negli stessi anni in cui lo svizzero Arnold Böcklin fa appello alle mitologie mediterranee, a centauri e tritoni redivivi. A Böcklin guarderà con molto interesse un giovane pittore durante un suo soggiorno a Monaco di Baviera nel 1906: Giorgio de Chirico sa che una possibile via di fuga si cela al di là delle apparenze del mondo cosiddetto reale, in un «altrove metafisico» che racchiude altre verità, quelle che scaturiscono dall’inconscio ma anche da legami che, misteriosamente, l’artista-archeologo sa intrecciare tra epoche diverse.

A de Chirico fa la corte, in Francia, un poeta che si chiama André Breton : nel 1924 ha fondato una nuova avanguardia, il Surrealismo. Ne fanno parte artisti convinti che il loro compito sia lo svelamento della parte più nascosta dell’uomo, la psiche e la sua attività onirica; a Vienna, esattamente 24 anni prima, un medico, Sigmund Freud, ha pubblicato «L’interpretazione dei sogni», testo-chiave di una nuova scienza, la psicanalisi, capace di sondare nella follia, nelle angosce, nei desideri e nelle verità, anche le meno gradevoli, che la razionalità, le norme sociali e altre inibizioni tendono a reprimere. E tra i surrealisti, vi è chi, come Henri Michaux , opera appunto sotto il puro impulso psichico, creando un misterioso alfabeto di segni che sembrano sgorgare da profondità sino ad allora insondate.
In Germania, intanto, dagli anni Dieci gli espressionisti come Kandinskij, Kirchner o Nolde stanno rivoluzionando la maniera di dipingere i temi più tradizionali, come il paesaggio o la figura umana. La verità, anche per loro, viene dall’interiorità: non da ciò che vediamo con gli occhi, ma da ciò che la visione provoca dentro di noi. Se si dà libero corso alla spontaneità, ecco che una montagna può essere dipinta in rosso, un cavallo in azzurro. L’Espressionismo, che da subito manifesta molte somiglianze con l’arte degli alienati mentali (e Hitler lo marchierà come «arte degenerata») scardina ogni convenzione, sia nel disegno, sia nel colore; anche il ritratto della donna amata, una volta sulla tela, può assumere sembianze deformate, poiché la bellezza o la bruttezza non sono legate ad alcun canone.
Alcuni espressionisti, come George Grosz e Otto Dix , si fanno invece carico di raccontare altre verità, quelle, terrificanti, che germinano nella Germania sconfitta nella Prima guerra mondiale e assetata di rivincita. I due saranno anche fra i primi a denunciare la violenza della dittatura nazista. Nelle arti del Novecento, infatti, la ribellione politica va di pari passo con la rivoluzione estetica, quella che ha il suo momento più clamoroso e dissacrante con il Dadaismo, quando nel 1917 Marcel Duchamp , esponendo come opera d’arte un orinatoio, dimostra che ciò che conta per un artista è il pensiero, anche il più provocatorio, e non più la mera esecuzione.

Se il Dadaismo aprirà la strada alle correnti concettuali del secondo dopoguerra, le poetiche del disagio e dell’angoscia attingeranno invece al Surrealismo e all’Espressionismo. Il trauma generato dalle distruzioni e dai genocidi della Seconda guerra mondiale impone agli artisti ulteriori riflessioni sul destino e sulle ragioni del proprio mestiere. A tutti è chiaro che continuare a perseguire un ideale di bellezza equivale, alla luce dei fatti, a una bestemmia. Quale bellezza avrebbe potuto sopravvivere al secolo dei campi di sterminio o di Hiroshima? C’è allora chi, sulle orme del Picasso di «Guernica», si dedica a un realismo di denuncia. Ben più diffusa la volontà di negare anche l’ultimo residuo di «bella pittura»: non ci sono regole compositive, né armonia prestabilita nelle opere degli artisti informali, nei sacchi lacerati di Alberto Burri , nei densi impasti di gesso e colore che, nelle opere del francese Jean Fautrier, imprigionano come crisalidi immaginari «Ostaggi».

Anche chi decide, nonostante tutto, di continuare a dipingere figure, dà inevitabilmente vita a un mondo di corpi squartati e deformati ( Francis Bacon ), di teste angosciosamente scavate nel bronzo ( Alberto Giacometti ), a una corporalità sofferente, che non nasconde le piaghe generate dal male di vivere ( Lucian Freud ): se gli informali attingono a piene mani dalla gestualità psichica e «automatica» di matrice surrealista, gli esponenti della figurazione esistenzialista guardano invece con attenzione agli espressionisti.
Il secolo che ha dato i natali all’Astrattismo, si chiude comunque con un rinnovato interesse per la figura umana e per il corpo. È su questo versante, infatti, che si sviluppano e si confrontano correnti come la Body-art (dagli anni Settanta) e alcune fra le più significative tendenze affermatesi negli anni Novanta, nell’epoca detta post-moderna. Le cruenti performance della Body-art ripropongono una figura nata all’inizio dell’arte moderna, l’artista sofferente perché non capito, martire di una civiltà che ne rifiuta la trasgressione.
Nell’era dell’ingegneria genetica e del culto della bellezza artificiale, il corpo mutante diventa invece uno dei temi prediletti da una nuova generazione di artiste (da Cindy Sherman a Vanessa Beecroft ) che, assieme ad antiche istanze femministe, ripropongono, contro la globalizzazione e la massificazione, la riscoperta dell’individualità e dell’intimismo: è la più recente manifestazione di ansia e dissidenza degli artisti rispetto a un mondo che continua a non accettare la differenza.