domenica 7 settembre 2003

su La Sicilia: Macaluso ricorda

La Sicilia 6.9.03
Macaluso: «Moro, il Pci e le Br»
di Tony Zermo

Ora che si riparla del caso Moro dopo il film di Bellocchio a Venezia, e dopo la «Piazza delle cinque lune», due film di cui si discute molto, ci chiediamo se la linea della non trattativa con le Br sia stata giusta. Liberi pensatori come Sciascia erano per lo scambio perché «la ragion di Stato non vale una vita». Quelli che bloccarono qualunque trattativa, a distanza di 25 anni hanno avuto dei ripensamenti? Lo chiediamo a Emanuele Macaluso, uno dei leader storici del Pci di allora. «Io in quel periodo - dice - ho sostenuto con convinzione la linea della fermezza con Berlinguer, Amendola, Pertini e gli altri. E questo per tre motivi: primo perché una trattativa avrebbe dato legittimazione alle Brigate rosse e quindi avrebbe allargato la loro presenza e l'area del consenso; la seconda preoccupazione era che in definitiva il Pci, che era stato indicato come "padre" delle Br anche dalla Rossanda, perché loro parlavano di leninismo, di comunismo, aveva l'esigenza di marcare una rottura radicale; terzo perché eravano arrivati nell'area di governo e quindi era necessario segnare con forza che il Pci era un partito dello Stato, dell'arco costituzionale. Infine nel Pci c'era ancora molta gente come Pajetta, Amendola e altri che avevano fatto anni e anni di carcere i quali avevano trasmesso anche a noi che quando si fa politica si deve rischiare, quando si sta in carcere non bisogna piegarsi, che chi fa questa scelta la deve fare fino in fondo. C'era insomma anche una questione morale, tutta una concatenazione di motivi per cui il Pci su questo fronte fu abbastanza compatto».
Nemmeno quando le Br proposero lo scambio uno contro uno, la vita di Moro in cambio della liberazione di Paola Besuschio, che tra l'altro era ammalata e non aveva ucciso nessuno?
«Anzitutto nessuno credeva alla serietà di quella proposta, si pensava che l'avrebbero ucciso lo stesso e che quella richiesta dell'ltimo momento era solo un modo per fare dire di sì e poi ucciderlo lo stesso. Ci fu solo Bufalini che disse: ma in fondo si potrebbe liberare la Besuchio.Ma come ricordava Andreotti la Besuschio aveva una condanna definitiva e non si capiva come potesse uscire dal carcere».
Avete mai valutato cosa sarebbe stato di Moro se le Br lo avessero lasciato libero?
«In effetti molti si sono chiesti come mai le Brigate rosse non lo abbiano liberato, perché Moro libero sarebbe stato un elemento destabilizzante per il maggiore partito di governo. Però dai calcoli fatti, in definitiva loro, o chi per loro o con loro, pensavano che era necessario dare una prova di forza, per significare che non si fermavano davanti a nulla, che non avevano scherzato, che con loro non si scherzava».
Eppure il giudice Sossi di Genova l'avevano liberato.
«Ma Sossi non era Moro. Moro era lo Stato. Infatti loro avevano detto: abbiamo colpito il cuore dello Stato. Era qualcosa di diverso, la trattativa era con il cuore dello Stato, per il cuore dello Stato».
Tre settimane dopo il rapimento di Moro entrai nella sede della Dc in Piazza del Gesù per una conferenza del segretario dc Zaccagnini. In una stanza deserta vidi arrotolati dei grandi manifesti a lutto «per la morte di Moro». E Moro era ancora vivo.
«Questa è una cosa che non ho mai saputo. Forse quei manifesti furono stampati quando ci fu quel volantino che diceva: cercate il cadavere di Moro nel Lago della Duchessa. O forse è stato lo zelo di qualcuno. Se lei dice di averli visti, ci credo, ma francamente resto sorpreso».
Lo chieda a Beppe Sangiorgi, allora addetto stampa della Dc, il quale mi disse: «Sai, è per essere preparati al peggio».
«Se dovessi incontrare Sangiorgi glielo chiederò».