La Stampa 25 Febbraio 2005
LE ULTIME SCOPERTE ARCHEOLOGICHE AL LARGO DI ALESSANDRIA D’EGITTO RESTITUISCONO LE TRACCE ORIGINARIE DI ANTICHE LEGGENDE
Dal fondo del mare, il mito di Elena e Paride
I PRECEDENTI DI OMERO
di Aristide Malnati
ALESSANDRIA D’EGITTO. DAL profondo dei fondali del Mediterraneo riaffiorano consistenti tracce di antichi siti, sede di remote vicende che si perdono nel mito. Queste scoperte ci portano nelle profondità marine al largo di Alessandria d'Egitto, città fondata nel 332 a.C. da Alessandro il Macedone e motore principale del progetto di globalizzazione politica e culturale da lui avviato. Qui tuttavia la precedente civiltà dei faraoni egizi aveva edificato imponenti avamposti commerciali e marittimi, che anzi influenzarono Alessandro e i suoi architetti nella ricerca del luogo dove fondare la futura città.
Ecco che ora questi antichi resti riemergono con le loro monumentali vestigia dall'oblio del tempo e offrono nella loro successione stratigrafica testimonianza diacronica di tutte le fasi storiche della loro esistenza. Recentemente l'archeologo subacqueo francese Frank Goddio ha completato l'avventurosa ma sistematica esplorazione della rada costiera per parecchie miglia tra il porto eunostos e Abukir; e ha riscontrato la presenza di resti di edifici, santuari, palazzi e mura di vario spessore: la mappatura prontamente eseguita mostra i contorni, non ancora ben definiti a causa della torbidità delle acque limacciose, di un ampio centro urbano.
Quale? La misteriosa città-fantasma sottomarina ha finalmente un nome: Herakleion, di cui parlano già le fonti classiche da Erodoto a Strabone. È una piccola targa d’oro del III secolo a.C. a rivelare l'identità del sito: il reperto rinvenuto qualche settimana fa a 12 metri di profondità e prontamente tradotto da Jonathan Cole, direttore del Centro di Archeologia Subacquea di Oxford, riporta un documento pubblico con tanto di nome di luogo (Herakleion appunto).
Così la realtà storica sempre meglio acclarata si innerva su arcane radici mitologiche, trae dal mito la sua scaturigine, il suo volto antico, si perde in quella complessa rete di elementi religiosi, a loro volta però indissolubilmente fusi con avvenimenti reali. Uno storico del calibro di Erodoto (metà del V secolo a.C.) fu il primo a tentare di dipanare questa intricata matassa, andando a ritroso nel tempo alle origini di molti miti greci, egizi e persino di quelli diffusi nell'antico Vicino Oriente; e nel farlo compì un processo di razionalizzazione sicuramente indebito (oggi sono ben altri gli strumenti con cui si recuperano le radici ancestrali delle saghe arcaiche), ma di straordinario fascino e per noi utilissimo, in quanto foriero di preziose notizie e di aneddoti storici non altrimenti testimoniati. E proprio lo storico di Alicarnasso nella sua opera (Storie, libro II, 112-120) cita Herakleion legandola al percorso, per lui reale, compiuto da Elena e Paride, teneri innamorati in fuga dalle ire di Menelao, sposo tradito. Partiti, anzi precipitosamente scappati, i due amanti sarebbero stati spinti da un vento impetuoso e invincibile verso le coste egizie e precisamente all'altezza di Herakleion, presso la foce del braccio canopico del Nilo. Qui avrebbero riparato nel tempio principale del villaggio, dove il culto di Khonsu, il figlio del dio-Sole Amon, si era fuso con quello di Eracle, in un mirabile esempio di sincretismo religioso quasi mille anni prima dell'ellenismo.
Giunto poi a Menfi, sede centrale del potere, Paride, in quanto traditore dell'ospite Menelao, avrebbe ricevuto ingiunzione di espulsione e sarebbe stato costretto a prendere il largo senza l'amata rapita. Una versione del mito differente da quella omerica, per cui Elena sarebbe stata a fianco dell'amante sulla rocca di Troia e lì, testimone della disfatta da lei stessa innescata, avrebbe costituito la parte più preziosa del bottino di guerra di Menelao, suo primo sposo. Questo a dimostrare la fluidità di un mito, le cui molteplici versioni hanno dato adito a varie interpretazioni narrative; interpretazioni tutte penalizzanti per Elena con l'eccezione della famosa e intensa poesia di Saffo, per cui la giovane sposa di Menelao ha palesato l'onestà e il coraggio di seguire gli impulsi irrazionali del cuore.
Ora questa realtà archeologica, teatro del mito nella versione erodotea e comunque sede di importanti commerci tra mondo greco ed Egitto ben prima di Alessandro il Grande, acquista una sua fisionomia e una sua consistenza; e rinverdisce grazie a lavori congiunti di missioni francesi e inglesi, unite in mutua collaborazione proprio in prossimità di Abukir, luogo simbolo di un'antica rivalità oggi superata nel nome della ricerca storica.
In merito al mito di Elena e Paride e più in generale di tutto il ciclo troiano recenti scoperte confermano la leggenda materia dell'epos omerico. Un centinaio di tavolette d'argilla incise in Lineare B, venute alla luce presso la greca Tebe, contengono toponimi, onomastici e nomi di popoli che sarebbero più tardi ricorsi nell'Iliade e nell'Odissea. Sono documenti del XIII secolo a. C. e mostrano come già allora i principali eroi dei due poemi (a iniziare da Achille) fossero conosciuti; e dunque come il tessuto connettivo del mito, su cui nei secoli successivi avrebbero lavorato gli aedi, fosse già stato elaborato in età micenea. Inoltre nelle tavolette sono leggibili parecchi toponimi di città in rapporti commerciali con Troia; e molte di esse sono nominate nel II canto dell'Iliade, nel cosiddetto «catalogo delle navi». Questi elementi proverebbero l'appartenenza antica del canto (da alcuni filologi ritenuto spurio) al corpus originario del poema, in quanto il suo contenuto sarebbe di elaborazione antichissima.
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