venerdì 25 febbraio 2005

Citata al Mercoledì
una intervista, in cui si parla anche di Massimo Fagioli

(già pubblicata su questo blog in data 4 c.m. ndr)

Zefiro, anno II - n. 1 - gennaio 2005
"Malattia mentale.
Ma i medici chi li cura?"
Intervista a Luana De Vita
di Paolo Izzo


Si sente spesso parlare di disagio psichico o sociale; mentre, anche di fronte a fatti di cronaca molto gravi, diagnosticare una malattia mentale, semplicemente pronunciare queste due parole, appare come uno scoglio insuperabile. Perché nella psichiatria ufficiale la confusione è tanta e quando ci si trova di fronte a un malato di mente sembra più accettabile ricorrere alla farmacologia, per “contenerlo”, per riportarlo alla “normalità”.
Abbiamo intervistato Luana De Vita, psicologa, giornalista e autrice di un libro molto interessante, “Mio padre è un chicco di grano” (Ed. Nutrimenti, aprile 2004, pp. 126), dove racconta con coraggio le vicissitudini cui è andata incontro come figlia di un paziente psichiatrico, sempre in bilico tra l’indifferenza e l’incompetenza di certi medici e la situazione di totale anarchia in cui si trovano oggi i Dipartimenti di salute mentale…

Spesso la cronaca ci racconta di persone che, pur avendo un perfetto rapporto con le cose, con la realtà materiale ed essendo dunque apparentemente normali, un giorno compiono una strage… Cita molti di questi episodi in un capitolo del suo libro. Che cos’è per lei la “normalità”?
Se una persona ha equilibrio, normalità, capacità cioè di gestirsi e di essere funzionante – questa è l’unica normalità riconosciuta – il modo in cui ce l’ha, se non crea problemi agli altri, non importa. Normale è una persona che riesce a “funzionare”: alzarsi, lavarsi, vestirsi, andare a lavorare, tornare a casa e prepararsi da mangiare. Nessuno psichiatra potrà mai dire se quella persona avrà un’esplosione psicotica…
E non dovrebbe invece capirlo?
No. Perché il comportamento umano è completamente diverso dal corpo umano. Se non accettiamo questa idea continueremo a cercare una malattia che non c’è. In ragione di un funzionamento sano di tutti gli organi, possono esserci una serie di problematiche che non sono prevedibili. Per esempio quelle dell’assassino non lo sono. Si può magari ragionare in termini di fattori che possono favorire un certo tipo di comportamento, ma sono pochissimi quelli che si muovono in questa direzione: significherebbe considerare il disagio come legato non solo al rapporto medico-paziente, ma anche alla condizione in cui il paziente vive. Significherebbe accettare di farsi carico di una serie di situazioni…
Ma il medico non ha l’obbligo di curare?
Sì, ma se uno ha un’infezione e va dal medico, il medico gli prescrive delle medicine. Se poi quello va a casa e ha una situazione familiare terribile, francamente al medico che deve curare l’infezione che gliene importa! Certo, se uno viene da me e mi dice “ho preso appuntamento perché io la mattina, quando mi alzo, vorrei uccidermi”, io mi devo preoccupare di dove vive, con chi vive, che relazioni ha…
In questo senso sembra esserci un’impotenza del medico, come lei dice bene nel libro, anche per effetto della legge 180. Allora è più facile dire che uno sta bene piuttosto che diagnosticargli una malattia mentale…
Sicuramente c’è l’impotenza medica e la 180 ha affidato alla famiglia del malato la cura di queste cose. Il che è incredibile! Vedi queste famiglie impegnate ad allarmarsi, ma impotenti a loro volta. Non le nascondo che un altro problema serio è quello della non responsabilità dei medici: il fatto che il tizio che aveva le armi poi le usi per sparare alla moglie dovrebbe significare che il medico che ha firmato il certificato di idoneità psico-fisica per le armi venga preso e sospeso dalla professione… Perché quanto meno il medico chiamato allo stesso compito la volta successiva approfondisca l’indagine!
Arrivando al trattamento delle malattie della psiche, sempre che ci si arrivi, secondo lei come dovrebbe agire un medico, con la psicoterapia o con i farmaci?
Con tutti e due. Come avrà letto nel libro, ho un atteggiamento molto critico rispetto soprattutto all’abuso di farmaci e rispetto alla consuetudine di delega al farmaco, che è una mancata presa in cura del paziente, cui si propone solo una lista di medicine da prendere. Detto questo, ritengo che una persona depressa ad esempio può avere per un periodo un grosso beneficio dall’assunzione di un farmaco, se accompagnata da un percorso psicoterapeutico che vada a indagare su quali sono le ragioni di quella depressione e aiuti a rinforzare quelle che sono le risorse della persona…
E della psicoterapia che mi dice?
Personalmente mi sto specializzando in psicoterapia cognitivo-comportamentale e questo perché è un tipo di psicoterapia che si concentra molto sul sintomo e non è la terapia freudiana che ti stende sul lettino per dieci anni a parlare di quando eri piccolo… Certo, se da psicologa mi trovo di fronte a una situazione di psicosi, rimando il paziente a uno psichiatra…
Nel libro descrive molte situazioni in cui si è trovata accompagnando suo padre da una clinica all’altra. Che succede oggi a un paziente psichiatrico?
Nella pratica, che io ho vissuto come figlia ma anche come persona che stava lì con altri parenti e con altri pazienti, le cliniche sono luoghi in cui negli anni ci si reincontra: i pazienti saltellano da una clinica all’altra e questo vuole dire non solo che i problemi si ripropongono, ma anche che il circuito in cui si transita è sempre lo stesso! Questo è secondo me ciò che va spezzato: a cominciare dai giovani. Parlando per esempio di lavoro, una volta che il paziente venga abbastanza compensato, si dovrebbe tentare a reinserire la persona in un ambito di lavoro, di studio o di impegno sociale; a reimmetterla in un contesto di normalità.
Compensazione, normalità, reinserimento… Perché non parla mai di guarigione?
Bisogna prendere atto dei limiti oggettivi nella medicina ufficiale. Lo dico con molta serenità. Con questo stesso atteggiamento guardo alla malattia mentale e al disagio psichico. Mi sto occupando ultimamente di mobbing e da me vengono professori, primari di reparti ospedalieri, general manager, non solo operai massacrati dal datore di lavoro. Sono persone sanissime che fino a tre anni fa se sentivano parlare di disagio psichico ridevano; poi si sono ritrovati ad aver paura a chiudere gli occhi! Allora, secondo lei, quello era matto pure prima? Secondo me no. Voglio dire che siamo portatori del nostro benessere ma anche della nostra malattia…
Lo psichiatra Massimo Fagioli sostiene che alla nascita siamo tutti sani. E che semmai ci si ammala dopo, nei rapporti con gli altri…
Certo. Fagioli per me su quella cosa è stato grandioso, perché questo bambino patologico e mostruoso di Freud era una idea insopportabile! Quello che voglio dire io è che proprio perché siamo sani portiamo dentro di noi la malattia.
Ma Fagioli dice che ci si ammala, non che portiamo dentro di noi la malattia!
Guardi che il mio pensiero non è in antitesi con quello di Fagioli, che condivido. È solo che io lo dico in un modo diverso, nel senso che se esotericamente non può esistere il bianco senza il nero, non può esistere una persona assolutamente sana che non abbia anche dentro di sé coscienza e riconoscimento della malattia, intesa esattamente come l’altra faccia della salute.
Però lo psichiatra almeno deve essere sano, altrimenti come fa a curare gli altri?
Eh no! Questo è un pensiero utopistico. Perché parliamo di un essere umano e come tale non può essere perfettamente sano, altrimenti non è un essere umano. Come può un essere umano non avere le stesse caratteristiche di un altro essere umano? Lo psichiatra può solo avere delle conoscenze, delle tecniche, degli strumenti, in questo senso, che possono consentire l’attuarsi di una relazione terapeutica con un paziente, di scambio…
Insisto: uno che si occupa della realtà mentale altrui non dovrebbe avere la propria in condizioni di sanità?
Come le ho detto all’inizio, io ho la mia idea di sanità. Per me uno sano è uno funzionale, se funziona è sano. Cionondimeno potrebbe essere uno che qualche disturbo ce l’ha, non psicotico ovviamente, ma che qualche aspetto suo personale che so di nevrosi ce l’ha… Bisogna capire cosa si intende per sanità. Certo io uno psichiatra depresso non lo vedo bene a fare lo psichiatra. Nonostante questo, penso che molti dei colleghi che conosco e dei medici che ho conosciuto prima come figlia di un paziente e poi come psicologa, di problemi ne abbiano una valanga…