venerdì 25 febbraio 2005

tricotillomania

La Stampa 23.2.05
Il piacere di strapparsi i capelli
E’ UNA PATOLOGIA CHIAMATA TRICOTILLOMANIA, ABITUDINE COMPULSIVA CON ORIGINI PSICOLOGICHE TUTTORA CONTROVERSE. SE NE DISCUTE IN USA

KELLY cominciò a strapparsi le ciglia all'età di 13 anni. Lo faceva ogni volta che ricrescevano. Le sue palpebre erano glabre e la madre la portò a comprare ciglia finte che Kelly si appiccicava alle palpebre ogni mattina prima di andare a scuola. Non riusciva a smettere. «Quando cominciai a strapparmi le ciglia, mi sembrò estremamente interessante», racconta Kelly Chick, che oggi è un medico di 34 anni di Philadelphia. «Non avevo idea che potesse danneggiarmi fisicamente e mentalmente». Kelly Chick è una delle tante persone affette da tricotillomania (dal greco trix, capelli, e tillein, tirare), un disturbo di tipo autolesivo: l'abitudine compulsiva di strapparsi capelli, ciglia, sopracciglia o peli da altre parti del corpo causando visibili zone glabre. Secondo una stima del Trichotillomania Learning Center, organizzazione no-profit che collega pazienti e ricercatori che studiano il disturbo, solo in America l'1-2 percento della popolazione (cioè tra i 4 e gli 11 milioni di persone) sarebbe affetto da tricotillomania. Ma dopo 20 anni di ricerca negli Stati Uniti, non vi è accordo sulla causa. Chi soffre di tricotillomania non riesce a smettere perché prova piacere o sollievo nello strapparsi i capelli o i peli, e si sente teso subito prima o nel tentativo di evitare di farlo. Ma quando la perdita di capelli è notevole, le persone affette si sentono a disagio con se stesse e con gli altri. Spesso la mania si manifesta durante l'adolescenza. Sembra più frequente tra le donne, ma forse solo perché ne parlano più facilmente. Il manuale diagnostico della American Psychiatric Association definisce la tricotillomania una mania ripetitiva simile ai disturbi del controllo degli impulsi, come la piromania o la cleptomania. Tali disturbi sono caratterizzati dall'incapacità di controllare l'impulso di arrecare danno a se stessi o ad altri. Alcuni medici credono però che la tricotillomania sia più simile a manie ripetitive come mangiarsi le unghie; altri la curano con gli stessi metodi usati per la dipendenza da droghe leggere. La psicologa Claudia Miles ritiene che strapparsi i capelli agisca sul corpo come una droga, stimolando la produzione di un maggior livello di endorfine e dando così piacere. Lo faceva lei stessa dall'età di 3 a 28 anni. «La gente non vuole smettere - dice - perché è piacevole. Strapparti i capelli, se hai la tricotillomania, è come mangiare caramelle». Inizialmente il disturbo fu notato in pazienti con manie ossessive-compulsive; alcuni medici l'associarono a traumi dell'adolescenza: la National Mental Health Association non esclude tuttora la possibilità di tali connessioni. Depressione e scarsa stima di sé spesso accompagnano la tricotillomania, ma Ruth Golomb del Behavior Therapy Center di Greater Washington ha osservato che nei bambini la mania si manifesta spesso in assenza di altri disturbi, per cui la depressione potrebbe esserne conseguenza anziché causa. Alcuni ricercatori stanno conducendo studi di visualizzazione dell'attività del cervello in vivo con tecniche imaging per dimostrare che dietro il disturbo vi è una vulnerabilità genetica del sistema nervoso. Secondo Fred Penzel del Western Suffolk Psychological Services, la tricotillomania potrebbe essere una forma di autoregolazione in persone con una predisposizione genetica. Quando sono stressate, ansiose o frustrate, concentrandosi sull'atto di strapparsi i capelli, queste persone troverebbero un modo per rilassarsi. Quando invece si sentono annoiate o inattive, strapparsi i capelli (che sono anche ricchi di terminazioni nervose) consentirebbe loro di stimolare il sistema nervoso. Oggi la tricotillomania è spesso minimizzata, dice Charles Mansueto del Behavior Therapy Center, e spiega che le compagnie farmaceutiche, un'importante fonte di fondi per la ricerca, non sono interessate a investire perché i farmaci non sempre sono efficaci: alcuni antidepressivi a volte funzionano, dice Miles, ma ci sono anche pazienti che peggiorano o che non hanno alcun effetto. La terapia comportamentale invece si è rivelata promettente: il metodo consiste nell'identificare le occasioni scatenanti (fisiche, emotive, abitudinarie, intenzionali o ambientali) per aiutare a controllare la mania.