venerdì 25 febbraio 2005

in mostra a Torino
le immagini del «Male»

La Stampa 25 Febbraio 2005
NELLE DUE ALI DELL’EDIFICIO JUVARRIANO UNA CARRELLATA DI 350 OPERE DAL ‘400 AD OGGI
Sangue, supplizi e corpi decollati
Dipingere il Male assoluto, la grande scommessa
di Marco Vallora
Torino:
Orrori di ieri e di oggi
Il Male. Esercizi di pittura crudele

Solo se accompagnati i ragazzi sotto i 14 anni potranno vedere la mostra che apre il 26 febbraio alla Palazzina di Caccia di Stupinigi e al Museo del Cinema. Gli organizzatori, infatti, considerano molte delle 180 opere in esposizione poco adatte ai giovanissimi. Ci sono immagini di mostri, di demoni, dannati e peccatori, e poi teste mozzate, cadaveri sezionati, allegorie della morte, incubi. Insomma, tutte le manifestazioni del Male come è stato rappresentato nell’arte europea dal Medioevo a oggi, da Beato Angelico a grandi nomi del Novecento e fino ai contemporanei. Ancora crudeltà e sadismo, ma dei giorni nostri, al Museo del Cinema, con video, fotografie, fumetti e film, - dai video delle decapitazioni in Iraq alle fotografie delle stragi alla proiezione di film come "Arancia Meccanica" di Stanley Kubrick. Fino al 26 giugno 2005.
DOMANI SUL CORRIERE
Inserto Speciale sulla Pittura crudele
Domani, in edicola con il «Corriere», un inserto gratuito di otto pagine sarà dedicato alla mostra «Il male. Esercizi di Pittura crudele» che si inaugura alla Palazzina di Stupinigi (Torino). Nel supplemento, oltre a una panoramica sulle opere in esposizione curate da Vittorio Sgarbi, un intervento del filosofo Emanuele Severino, la fisiognomica come interpretazione del brutto, il male visto attraverso il mondo del fumetto e la rinascita culturale di Torino
MA è possibile «dipingere» il Male? O scriverlo, musicarlo (ci ha provato, tra i tanti, oltre al Tartini del Trillo del Diavolo, ovviamente, e poi Offenbach con Berlioz, lo Schumann demonico del Manfred, che non a caso attirò il «satanico dicitore» Carmelo Bene). Ma si può manifestarlo, materializzarlo, ammansirlo con l'Arte? Se si lascia afferrare-dipingere, è ancora Male? È la domanda che ci si pone scendendo agli Inferi di questa mostra, ricchissima di capolavori ed un po' disorientante nell'assunto, che si pne appunto sotto il marchio, inquietante ed infamante, de «Il Male». (Preferiamo, in fondo, il sottotitolo un po' più rapsodico e conseguente di «Esercizi di Pittura Crudele»: che fa un po' compito in classe, un po' Queneau e Perec, e molto Ignazio di Loyola. Anche se il segno barthesiano di cerimonialità gesuitica e penitente viene semplicemente, aritmeticamente ribaltato).
Perchè disorientante e perché è dubbio pensare che il Male si lasci rappresentare così docilmente? È un problema che si era già posto il surrealista eterodosso e seguace nicciano e sadiano Georges Bataille, torbido sondatore di abissi umani, che però si era forse reso conto, con i suoi romanzi L'azzurro del cielo e Madame Edwarda, quanto fosse rischioso, e spesso quasi ridicolo, far vedere, far parlare la cattiveria umana, la rivolta sessuale, la ribellione sociale. Ecco qui, ab initio, l'ammaccato e compassionevole Cristo Passo di Fra Giovanni da Fiesole, detto non a caso il Beato Angelico, il pittore più serafico del mondo, anche se viveva nella Firenze esacerbata e protestataria di Fra Savonarola. Capace di dipingere, sù negli affreschi, in modo «divino», prescindendo da occhio umano, tanto la sua opera era riservata allo sguardo di Dio. Ebbene: certo il suo Cristo è intriso di dolore e di avvilimento, uno straccio d'uomo con gli occhi iniettati di sangue, pronto a crollare. Ma dove è qui, «pittoricamente», il Male? Sta, semmai, nelle premesse, nei gesti dei torturatori (che ora però sono assenti) sta nella coscienza di chi ha letto i Vangeli e «sa» perché quel volto sia ridotto così: ma non lo vede, lo immagina soltanto.
Appunto: volentieri il Male si annuncia simbolicamente, riverbera (attraverso i disastri della guerra) ma non è dipinto materialmente, non si mostra: si lascia evocare. C'è più Male in una xilografia di Vallotton, detta Omicidio, in cui la stanza rigorosamente vuota odora di turpe delitto, o in un oggetto crudele di Mona Hatoum, che in mille macabre rappresentazioni pompiers di sadismo pittorico. E il Male, ma ha davvero a che fare con le vanitas e le anatomie, la melanconia e i ciechi? Spesso la crudeltà la si evince invece da elementi esterni, da quello che Genette avrebbe chiamato il paratesto. La vera, reale cerimonia del Male, si ha per esempio (come è più che evidente, qui, con la tavola di Martirio di Taddeo di Bartolo) con la damnatio memoriae, quando i fedeli si accaniscono sulla pittura per oltraggiare, e ferire e cancellare i volti di aguzzini e demoni: appunto, perché non degni d'essere rappresentati, perché il Male, sino ad una certa epoca, non si deve vedere, mettere in scena, non ne ha alcun diritto (sino ovviamente al qui benissimo rappresentato Novecento dell'Espressionismo e della Nuova Oggettività, in cui diventa un topos addirittura imprescindibile. O al Seicento borromaico e testoriano, dei supplizi a gogò e delle decollazioni di Cairo, della Gentileschi, di Caravaggio e Caracciolo: è ovvio, sangue, schizzi, ungi arrota e sprizza, che nemmeno il Puccini più sadico, evocato da Arbasino in un testo memorabile).
Ma siamo sicuri che anche lì è in gioco il Male assoluto, o un Bene relativo dell'Epoca, che noi non sappiamo, non vogliamo più riconoscere? Si pensi al celebre Martirio di Santa Caterina di Lelio Orsi: ma la teatrale macchina di tortura, non pareva già un sontuoso, raggiante altare barocco? Prima di tutto, bisognerà pur indossare degli «occhiali» storici: per gli uomini di fede, perfino il supplizio dei martiri, è un momento di edificazione e di riscatto dal peccato, per cui il Male entra in scena, se entra, non per dominare, per pavoneggiarsi, per affermarsi, diabolicamente, contro Dio, ma per permetter loro la grazia della Salvazione (come il bacio di Giuda: religiosamente e pacatamente ogni volta rappresentato). Così con il magnifico ritratto di Antonello da Messina di Cefalù, da cui Vittorio Sgarbi partiva, nel saggio del catalogo Skira: tipico volto mediterraneo, che Valdo Fusi definì «traumatizzante ritratto di mafioso». Ma siamo poi sicuri che non si tratti d'una nostra proiezione retroattiva, filmico-sciasciana, e magari anche un po' razzistica, mentre quello poteva essere «allora» un volto tranquillamente neutro e magari d'un sant'uomo od onesto mercante? Non possiamo proiettare sul passato i nostri comodi fantasmi di inquieti moderni, per far tornare i conti espositivi. E infine, che cosa è il Male sado-maso per Sgarbi? Infliggere dolore, ricevere offese, subire torti, tramare tranelli, andare in guerra, cacciare, tradire, picchiare, sbudellare, esser cieco, suicidarsi, dedicarsi alla magia, indossare un volto lombrosiano: che sono poi tutti temi della mostra. Ma tutto questo, non si chiama anche e semplicemente Vita, se solo togliamo l'altro aspetto, edificante? Ben venga Messerschmidt, per esempio, il grande scultore illuminista, maestro delle smorfie. Ma se il titolo è lo Sternuto, dove sta il Male: nella smorfia che torce il bronzo o nel raffreddore che incalza? Anche i teorici del Bello e del Sublime, in epoca neoclassica (però già abitata dai fantasmi demonici di Milton, di Byron, di Fuessli e di Blake) sapevano che, nel momento stesso in cui l'arte si dedica a rappresentare, a descrivere, a magnetizzare (usiamo questo termine così settecentesco) il Negativo, il Perfido, il Terribile, eran consapevoli che l'Arte fosse più forte, vincendo su tutto. Ed il Male, in parte, si dilegua. O s'imbelletta, ormai innocuo.
Prendiamo qui, per esempio, la fosca Apparizione del Fantasma del Padre di Amleto di Fuessli della Fondazione Magnani... ma anche qui, il male è già stato (l'uccisione del Re) e verrà poi (quando Amleto, finalmente, riuscirà a vendicarsi cruentemente) però il Male, in questa scena, si presenta con una maschera-metafora ambigua, che per di più è riparatoria. Perché il fantasma viene a chiedere giustizia e non «fa» male a nessuno, salvo alla cattiva coscienza di Gertrude. Meglio sarebbe stato, allora, mostrare quei perfidi schizzi domestici, in cui Fuessli si vendicava della moglie sadica e torturante, mettendole addosso dei cappellini, questi sì malvagi e perfidi, e delle capigliature crudeli: vera manifestazione pittorica di Male coniugale.
Una spiegazione terribile la potrebbe suggerire soltanto Zoran Music, qui presente con una straziante rappresentazione del campo di sterminio, cui è sopravvissuto. Dialogando con Jean Clair egli ha spiegato perché, a differenza di letterati come Primo Levi o Robert Antelme, i pittori hanno avuto un tabù maggiore, nel rappresentare il Male assoluto. Lo ha ammesso, con orrore: quando, in prigionia, disegnando di nascosto, si rese conto della «bellezza» paradossale, mostruosa, pittorica, di quelle cataste funeree di moribondi e cadaveri, capì che era giusto smettere. La pittura, forse, non può permettersi il lusso di dipingere il Male.