venerdì 25 febbraio 2005

frasi d'Autore

Corriere della Sera 25.2.05
Raccolte in un libro duemila frasi d’autore: da Aristofane agli striscioni dei tifosi. Faulkner: «Twain, scrittore da strapazzo»
«Dante? Una iena tra le tombe». Firmato Nietzsche
Cristina Taglietti

Dante? «Un’iena che scrive poesie tra le tombe». Almeno secondo Nietzsche. E Mark Twain? «Uno scrittore da strapazzo, capace di affascinare solo i superficiali e i pigri». Così lo descrisse Faulkner che ebbe una parola buona anche per Henry James, definito «una delle più simpatiche vecchiette che abbia mai conosciuto». Emilio Salgari, invece, era per Giosuè Carducci «uno scribacchino fanfarone di poca letteratura e di troppi aggettivi», mentre Palmiro Togliatti bollò Giuseppe Prezzolini come una «meretrice vecchia, venduta su tutti i marciapiedi». Quella dell’insulto è un’arte antica, coltivata anche da molti uomini illustri, declinabile in vari modi: può essere sguaiata, beffarda, acida, spesso di cattivo gusto, ma, come diceva Arthur Schopenhauer, maestro della tecnica, «se l’avversario è stato grossolano, lo si deve superare proprio in questo campo». Oggi non è più auspicabile proseguire nell’ escalation che il filosofo riteneva necessaria in caso di mancata soddisfazione verbale («Gli schiaffi sono sanati dalle bastonate, queste dalle sferzate: contro queste ultime raccomando, come rimedio eccellente, lo sputare in faccia. Solo nel caso in cui non si riesca più a giungere in tempo con tali mezzi, si deve ricorrere inevitabilmente a una decisione sanguinaria»), ma l’offesa, scritta o orale, rimane la principale forma di difesa.
Un campionario politicamente scorretto delle ingiurie possibili è l’antologia di Alfredo Accatino, Gli insulti hanno fatto la storia , in libreria lunedì prossimo da Piemme (pagine 351, euro 14,90), un’epopea lunga duemila offese che mescola alto e basso e mette insieme scrittori, compositori, attori, starlette, comici, da Aristofane agli striscioni dei tifosi. Un’antologia ragionata che cataloga gli insulti familiari, le invidie cinematografiche, le stroncature, le offese politiche, le prese in giro, le maldicenze sessuali, i pettegolezzi privati, che tratta l’insulto come un vero e proprio genere letterario, ricco di virtuosismi e sperimentazioni verbali.
Se qualcuno può anche essere d’accordo con Ennio Flaiano secondo il quale «per scrivere un romanzo bisogna essere spinti dalla noia ma per scrivere un romanzo come Via col vento la noia non basta, occorre quella fiduciosa caparbietà che soltanto certe signore posseggono e che, quand’è bene applicata, arricchisce la società di opere pie, concorsi gastronomici e eserciti di salvezza», nella miscellanea rientrano anche giudizi artistici e letterari che in certi casi sembrano vere e proprie cantonate. Non può essere letto diversamente Voltaire che definì l’ Amleto «un dramma volgare e barbaro, che non sarebbe tollerato neanche dal più basso popolino di Francia... l’opera di un selvaggio ubriaco», o il giudizio di Virginia Woolf sul capolavoro di Joyce: «Ho finito l’ Ulisse e credo che abbia fatto cilecca. È un libro prolisso. È torbido. È pretenzioso. È bastardo, non nel senso ovvio, ma nel senso letterario». Fa sorridere, a posteriori, anche il rifiuto opposto da una casa editrice a Rudyard Kipling: «Mi dispiace signor Kipling ma lei proprio non conosce l’uso della lingua inglese...».
L’antologia illumina rivalità professionali (Renoir su Manet: «Non ha proprio talento quel ragazzo. Ditegli, per favore, di smetterla con il dipingere») anche postume (El Greco: «Michelangelo era un brav’uomo ma non sapeva disegnare»; Borges: «Guy de Maupassant? Morì pazzo, ma era nato cretino»). Oscar Wilde, noto per il suo spirito caustico e poco benevolo, così liquidò Wagner: «Mi piace la musica di Wagner più di ogni altra cosa. È così rumorosa che si può parlare per tutto il tempo senza farsi sentire dagli altri». Senza appello anche la stroncatura di Puccini: «Non si può giudicare l’opera di Wagner dopo averla ascoltata una sola volta, e io non ho nessuna intenzione di ascoltarla una seconda». Mentre Vivaldi era, secondo Stravinskij, nient’altro che «un musicista noioso, che ha scritto seicento volte lo stesso concerto», lo stesso Stravinskij era, nel giudizio di Prokofiev, un «Bach con le note sbagliate».
All’insulto, più o meno velato, non si sottrassero nemmeno i sovrani e neppure nei momenti di lutto, se è vero che ai funerali del marito, re Edoardo VII, la regina Alexandra commentò lapidaria: «Ora almeno so dov’è».