domenica 20 marzo 2005

il male del secolo

BresciaOggi 20.3.05
Un commento
Il male del secolo non è più il cancro
Nel Paese si accentuano le patologie psichiatriche
di Pietro Nonis

Capita di sentir parlare del cancro come del «male del secolo». In realtà esso afflisse l’umanità fin dai tempi più antichi. Di recente è andata aumentando, per profondità e vastità, la conoscenza sia delle forme sia delle cause. E la serie degli interventi, medici o chirurgici o di altro genere, ha portato non solo ad una conoscenza più produttiva ed efficace, ma anche al miglioramento, se non alla guarigione radicale, di un numero di casi che si sta avvicinando al cinquanta per cento. E le prospettive volgono al «meglio ancora».
A nostro parere, tuttavia, il «male del secolo» - che si presenta come l’altro sotto forme diverse, a volte difficilmente diagnosticabili - è, con la depressione, il triste corteo delle patologie psichiche, psichiatriche, psicologiche o come chiamar le si voglia.
Qui si è avuto negli ultimi decenni un fatto nuovo, insperato. Sulla psichiatria praticata solo repressivamente, o mediante reclusione ed isolamento deprimente, ha preso un certo piede, col valore di una profezia morale e sociale, il nuovo modo di pensare e di fare che si lega solitamente al professor Basaglia, operante in Trieste, il quale ha fatto in tempo, prima di scomparire prematuramente, a costituire non solo una vera e propria «scuola», ma anche a promuovere cambiamenti sensibili sia nella legislazione psichiatrica sia nelle provvidenze terapeutiche, la prima delle quali esigeva la chiusura, se non la vera e propria demolizione, delle tristi case di salute chiamate «manicomi», che a volte erano gulag di marca italiana.
All’attenzione ed agli entusiasmi degli inizi, fatti presenti a vari livelli, da quello parlamentare a quello sociale, clinico, operativo, ha fatto gradualmente seguito un greve muro di ostacoli, primo dei quali (motivato come succede in politica dalla mancanza di mezzi necessari, del personale specificamente preparato) fu la discarica - altro nome non merita - di gran parte degli ammalati, gravi compresi, sulle famiglie e sulle piccole comunità locali, del tutto sprovvedute per affrontare i problemi gravissimi sia delle diagnosi sia delle terapie sia del contenimento di possibili violenze - facilmente legate alla presenza del morbo mentale - riguardanti gli infelici malati e le persone con le quali avevano a che fare, in primo luogo familiari - mamme anziane, padri problematici, fratelli insensibili - impossibilitati ad affrontare problemi così gravi.
Lo svuotamento o alleggerimento della popolazione manicomiale assunse, almeno qualche volta, il carattere di una beffa, un’atroce presa in giro che diffondeva in tutto il territorio gravissimi interrogativi e acute sofferenze sino ad allora concentrati forzosamente nel sistema detentivo. Si cercò di farvi fronte aumentando, qualche volta senza alte garanzie per la preparazione scientifica, il numero dei diplomati psicologi, che effettivamente si diramarono un po’ dappertutto, con risultati che è arduo definire conformi alle speranze. Chi scrive ebbe modo di firmare, come preside d’una delle due facoltà di psicologia (si trattava anzi di un corso di laurea inserito in magistero, gravato di 13.600 studenti, obbligati a lavorare in spazi per i quali erano previsti solo 850 iscritti) molte centinaia di diplomi di laurea, la reale validità dei quali solo Dio conosce.
Oggi sembra accentuata, nel nostro paese, la patologia psichiatrica, o comunque legata a quel doloroso male che chiamiamo «depressione», specialmente all’interno delle famiglie, Non più tardi della settimana scorsa lo stesso giornale riportava, con allucinanti dettagli, la notizia della morte che un padre ha dato prima al figlio, pare malato di depressione, poi a se stesso. Possiamo solo immaginare quali gironi infernali avvolgano, giorno dopo giorno, la vita di tante famiglie, molte delle quali vivono ancora la malattia mentale come motivo di vergogna, o non hanno coraggio di chiedere aiuto.
Un aiuto che, nonostante la «distrazione» - chiamiamola così - della classe politica (della quale entra a far parte, in questo caso, anche parte della classe medica) oggi non è impossibile suscitare e promuovere, specialmente se si congiungono con rispetto e generosità più persone, a cominciare dalle famiglie e dal vicinato.