martedì 24 maggio 2005

Umberto Galimberti

Il Gazzettino Martedì, 24 Maggio 2005
Il filosofo Umberto Galimberti ...

Il filosofo Umberto Galimberti - di cui è appena uscito il volume "Il tramonto dell'Occidente, nella lettura di Heidegger e Jaspers" (ed. Feltrinelli) - parlerà nel pomeriggio di sabato sul tema "Il corpo occidentale". «Come se si fosse anche un "corpo orientale"... - scherza - Magari sarebbe stato più appropriato "Il corpo in Occidente"».
Ma che ci fa, professore, un filosofo tra i ballerini?
«Non ho capito bene neanch'io. Ma mi viene in mente una bella frase di Nice: Tradire il mondo tra santi e prostitute, la danza, come se nella danza ci fosse una mediazione tra terra e cielo, tra il mondo delle bestie e quello celeste. E questo mi fa venire in mente Platone...»
A proposito della danza?
«No, Platone diceva che noi siamo uomini perchè il nostro corpo è eretto, e grazie a questa "visione panorama", può scrutare l'orizzonte, e questo fa sì che noi abbiamo le idee. "Ideien" in greco significa sia vedere che pensare, una facoltà preclusa agli animali, che hanno il corpo curvo e la testa rivolta a terra. Ma questa identità fra visione e pensiero, come specifico dell'umano, riguarda solo la cultura greca».
Perchè, quelle successive?
«Ad esempio nella cultura ebraica, sulla visione prevale l'ascolto, della parola di Dio. E in quella tradizione non esiste nemmeno il concetto di anima: l'ebraico "nefes", ad esempio, poi tradotta con "psiche" e in latino con "anima", in realtà significa altro: "vita", ad esempio, come nella massima biblica "Muoia Sansone con tutti i filistei", dove in realtà il Re catturato dice "Muoia la mia nefes". O nell'altra massima - "Occhio per occhio, dente per dente" - che nell'originale aggiungeva anche "nefes per nefes", cioè "vita per vita". Era così assente il concetto di immortalità e di aldilà che la punizione per i peccati doveva essere scontata sulla terra per sette generazioni».
E nella cultura cristiana?
«Anche i cristiani pensano, più che all'anima immortale, alla resurrezione dei corpi. Il concetto di anima separata dal corpo non c'è in teologia, appartiene piuttosto alla coscienza popolare, che lo fa derivare da Sant'Agostino: il quale considerava l'anima il luogo dell'interiorità, dove abita Dio».
Ma chi inventa, dunque, il concetto di anima?
«Platone, ma non in uno scenario di salvezza, bensì di mera speculazione scientifica: non possiamo fidarci, è il suo ragionamento, di informazioni che provengono dal corpo, che è soggetto alle passioni, alle malattie, all'invecchiamento. Bisogna ipotizzare un'altra dimensione, che pensa per numeri e idee e perciò è garante dell'oggettività della conoscenza».
Come si evolve nei secoli successivi il rapporto anima-corpo?
«Con Cartesio il corpo diventa "organismo", e nei secoli successivi tutto quello che non si spiega con un riscontro organico viene attribuito alla psiche: "Morbus sine materia", viene ad esempio definita la pazzia. E l'anima viene come sequestrata dalla psicologia. Ma nel dualismo anima-corpo si finisce per mistificare il rapporto vero, che è quello fra corpo e mondo. Dal punto di vista organico siamo tutti uguali, ma secondo la lettura fenomenologica, da Husserl ad Heidegger, la psiche si definisce per come l'individuo si rapporta col mondo: io mi definisco per come reagisco agli stimoli del mondo».
Perchè tradizionalmente si pensa alla salute dell'anima mortificando il corpo?
«Per i greci non era così, il dolore andava sopportato con forza e dignità, come elemento costitutivo della vita. É nella tradizione giudeo-cristiana che il dolore era figlio della colpa e strumento di riscatto per la salvezza: la mortificazione del corpo è il segno della purificazione spirituale, per renderlo degno di accogliere l'anima, quasi una "caparra" sulla Redenzione».
E oggi, che il corpo viene sottoposto a tutte le prove?
«Da quando il mondo si è laicizzato, con la morte di Dio, le pratiche prima inflitte al corpo per la salvezza dell'anima vengono ora rilanciate per la glorificazione di se stesso: al posto degli esercizi spirituali abbiamo gli esercizi in palestra, che sono una fatica... della Madonna; al posto dei digiuni abbiamo le diete, al posto del cilicio reggiseni tecnologici e tacchi chilometrici e così via, tutto al fine di proporre un corpo bello ed elastico».
Il sociologo Zygmunt Baumann trova che tutto questo sia il paradigma di una società di consumatori individualizzati - di prodotti, sensazioni, relazioni - incapaci di veri rapporti con la comunità di appartenenza...
«É vero. Ricorderei anche Schopenauer, e alla sua concezione di compassione come patimento assieme agli altri. Oggi no, se ci tocca soffrire la prima cosa che diciamo è "perchè proprio a me?", come se non facessimo tutti parte di un'umanità dolente».
Sul corpo, in particolare quello della donna, si registra il vero e proprio scontro di civiltà della nostra epoca...
«Certo. E vorrei osservare, a costo di apparire molto materialista, che l'emancipazione della donna in Occidente è un prodotto degli anticoncezionali, che hanno sganciato la sessualità dalla riproduzione, aprendo un inedito spazio al piacere, ora a livelli persino parossistici. Questo è lo specifico del corpo occidentale, mentre nell'Islam la sessualità è ancora un destino e non una scelta. Rimuovere questa contraddizione, che è antropologica, metterebbe in discussione l'intera organizzazione della società islamica: per questo non possiamo ipotizzare per loro corsi accelerati di emancipazione, avrebbero effetti sconvolgenti».
Ma i musulmani replicano che la donna occidentale è a sua volta soggetta alla nuova schiavitù dell'apparire, di una bellezza obbligatoria e stereotipata.
«É vero che anche in Occidente siamo schiavi di modelli estetici e sessuali, di cui non ci rendiamo conto, perchè erroneamente convinti di fare quello che vogliamo. Per non parlare dei nuovi corpi modellati, rifatti, usati come password...»
Non possiamo ignorare, in questo ambito, la questione del referendum: senza entrare nel merito dei quesiti, non trova che ci sia una contraddizione fra l'aspirazione generalizzata a una maggiore naturalità (no agli Ogm, si dice) e l'adesione alle nuove manipolazioni del corpo rese possibili dalla scienza?
«In problema si deve affrontare in uno scenario piu vasto. Un tempo la natura non era violabile, oggi con la genetica si. Per questo i principi etici di un tempo oggi non funzionano più. Come regolarsi di fronte a queste novità? La mia proposta è di rifarsi all'etica del viandante, indicata già da Aristotele. La scienza non si può fermare, allora bisogna valutare di volta in volta, caso per caso, basandosi non sulla teoria ma sulla saggezza».
Facciamo qualche esempio concreto?
«Dobbiamo accontentarci di un'etica provvisoria e parziale. Possiamo decidere ad esempio se far nascere chi per natura non potrebbe nascere è una cosa buona oppure no, vedere se la finalità cui si approda è socialmente accoglibile o negativa. Vale anche per la clonazione, che a mio parere è nefasta, mentre la fecondazione assistita no».
Il Patriarca di Venezia Angelo Scola ha lanciato un forte allarme su questi temi: rischiamo la fine della vita, ha detto...
«Mi rendo conto che c'è un problema, ma la mia obiezione è che finchè mi si disegnano scenari apocalittici ma non mi si indica come limitare la ricerca scientifica, l'etica diventa pat-etica, cioè un'invocazione priva degli strumenti per intervenire».