mercoledì 6 luglio 2005

basaglismo
il manifesto non si muove mai d'un solo passo...

il manifesto 6.7.05
L'eredità di Basaglia

«Diritti e rovesci» a Bologna
L'utopia della realtà, a cura di Franca Ongaro Basaglia con una introduzione di Maria Grazia Giannichedda (Einaudi) raccoglie gli scritti dello psichiatra al quale dobbiamo la 180
OTA DE LEONARDIS

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Intanto, di qua dalle Alpi si preparava l'uscita di una nuova raccolta di scritti di Franco Basaglia (L'utopia della realtà. A cura di Franca Ongaro Basaglia. Introduzione di Maria Grazia Giannichedda Einaudi, 2005, 327 pagg., 22 euro). Non credo alle coincidenze, credo alle insistenze. La critica dell'istituito - per dirla alla francese - ha in questa storia imboccato la strada della pratica, dello smontaggio pratico dell'istituzione, e si è fatta per questa via processo istituente. Un processo sorvegliato con grandissima cura perché conservasse della critica la memoria, le ragioni sempre attuali, e la sua intrinseca inconciliabilità con «le soluzioni», con l'istituito appunto. Basaglia è tutto qui, e non è poco.
Gli operatori e i malati di questa strana storia non sono mai contenti, se si accontentassero per loro sarebbe finita, risucchiati entrambi nella disumanizzazione. Basaglia lo ha detto e ripetuto fino alla nausea, a tutti coloro che si sarebbero accontentati volentieri di ragionevoli compromessi (a cominciare dai compagni francesi che non ci pensavano proprio a «distruggere» il manicomio. Semmai si trattava, e si trattò, di introdurvi la psicoanalisi. Non si è salvato neanche Lacan. Peccato, perché forse nel suo cifrario c'è qualcosa di pertinente, per ragionare sull'«uomo senza gravità» di oggi). Tornare a scavare in questa storia, riflettere ancora su questo passaggio, sulle «istituzioni inventate» dalla critica, come le ha chiamate Franco Rotelli; e su questo non accontentarsi: è ciò che gli amici francesi mi sollecitavano a fare, e che questo nuovo libro di Basaglia ripropone con forza. Per misurarsi tra l'altro col fatto preciso che Basaglia ha fortemente voluto la legge 180, ha voluto «istituire» appunto. Contro i radicali che non volevano leggi (il neo liberalismo dello stato minimo era già lì, reaganismo montante) e contro i riformisti che volevano un ammodernamento tecnico del paternalismo autoritario. Era la via del diritto, e dei diritti soggettivi conquistati e praticati su una materia incongrua, la follia, «l'esperienza abnorme» come la chiamava Basaglia; era la scelta di istituire il teatro di una contraddizione insanabile, che la rendesse sopportabile senza nasconderla («senza chiudere gli occhi», direbbe Boltanski). L'inconciliabile, appunto, istituito anche con una legge, istituito come un campo di tensioni legittimo e regolato, come un campo di riflessività della convivenza civile: riuscire «a non rinchiudere in una ulteriore oggettivazione l'esperienza abnorme, conservandola legata e strettamente connessa alla storia individuale e sociale» (così si chiude il libro). La consistenza di questa contraddizione, le ragioni e i modi per portarla allo scoperto, per renderla sopportabile ma non rimuovibile, costituiscono un filo rosso di tutto il libro. E costituiscono un patrimonio collettivo, che ha retto fino ad oggi e ancora regge, malgrado tutto, malgrado la forza e pervasività della normalizzazione di cui molti, anche protagonisti di questa storia, sono tentati di accontentarsi. Pensate ai famigliari: ricordo allora la crisi del rapporto con le famiglie, e con le associazioni di famigliari - investiti com'erano dalla contraddizione portata allo scoperto. E li ritrovo oggi, famigliari e associazioni, che non si accontentano, che vogliono tutto fuorché l'abolizione della 180. Pensate al lavoro: c'è ancora chi pretende pratica e costruisce opportunità perché i matti abbiano uno statuto lavorativo, con i tempi che corrono. Questo vuole dire, collettivamente, reggere una contraddizione tenuta scoperta, e tenuta regolata. Cercavo di spiegare agli amici francesi perché questa storia che regge nel tempo è a mio parere un patrimonio per tutti estremamente attuale. Un patrimonio politico. Ragionando con loro anche su analogie e differenze con la storia dell'aborto. Anche in questo caso ci sono la critica, i movimenti sociali, e una legge, dello stesso segno e degli stessi mesi (1978: il referendum, e in contemporanea l'uccisione di Aldo Moro, come ricorda Giannichedda nell'introduzione al volume).
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Basaglia preferiva, allora, le analogie con la legge Merlin che aveva abolito le «case chiuse» per l'esercizio della prostituzione. C'è un'aria di famiglia, in questo confronto con le dimensioni tragiche del vivere sociale, con questa pretesa di portarle e sopportarle allo scoperto, non vi pare?
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questo patrimonio politico - l'esperienza di nominare contraddizioni - è propriamente della sinistra (anzi, del centro-sinistra, in quanto vi sia in gioco la democrazia): salvaguardarlo è un dovere primario; investire su di esso è forse l'ultima possibilità che abbiamo per non essere travolti dalle contraddizioni ridotte ad antinomie, e dalle guerre che suscitano. L'abbraccio mortale della sinistra francese con lepenismo e affini sul referendum europeo sta lì a testimoniarlo.