mercoledì 6 luglio 2005

il premio Nobel sir Harold Kroto sulla scienza

Corriere della Sera 6.7.05
Il Nobel per la Chimica ’96 a dibattito con il filosofo: «La ragione è lo strumento che non ci fa diventare vittime dell’assurdità»
Kroto: solo la scienza è maestra di libertà

colloquio con Giulio Giorello

«Perché non chiamarsi Higginbottom o più banalmente Smith o Brown? Il mio nome di famiglia era Krotoschiner e mio padre nel 1955 lo abbreviò in Kroto, sicché c’è chi immagina un’origine giapponese»! Così si esprimeva sir Harold Kroto nel profilo consegnato per il ricevimento del Nobel per la Chimica nel 1996. Kroto è nato a Wisbech in Inghilterra, nel 1939. «Due anni prima i miei genitori - padre ebreo, madre no - erano scappati da Berlino, rifugiandosi nel Regno Unito. Papà era stato internato nell’Isola Man come "alieno", cioè straniero potenzialmente pericoloso. La mamma era invece finita in quella piccola cittadina del Cambridgeshire». Lei e Harold dovevano poco dopo trasferirsi a Bolton, nel nord dell’Inghilterra. Il padre, cessato l’internamento, doveva raggiungerli, finendo con l’aprire, nel 1955, una fabbrica di palloni e palloncini.
Kroto racconta: «Mi piaceva l’officina: una buona palestra per sviluppare le doti anche manuali che giovano a risolvere i problemi». Si scopre allora che Harold ha una passione per il meccano (da ragazzo ci giocavo anch’io, anche se ricorrevo a un surrogato italico del gioco inventato da Frank Hornby all’inizio del secolo scorso!): il gioco permette al piccolo di esercitare capacità progettuali che si rivelano preziose nel lavoro in grande della scienza. «Non bisogna dimenticare - mi dice Kroto - che le tecnologie della vita di tutti i giorni possono essere di grande aiuto in contesti nuovi. La scienza si basa sul dubbio e sugli esperimenti. Sviluppiamo le nostre teorie per spiegare quel che facciamo e progettiamo nuovi esperimenti per confermare i risultati già ottenuti. Per di più, teorie e strumenti sono indipendenti da chi li ha prodotti». Purché ci siano i fondi necessari affinché gli altri li possano utilizzare.
Sir Harold non ama le attuali politiche della ricerca che premiano le ricadute immediate. Meglio consentire che ciascun ricercatore prosegua nel proprio lavoro anche se non sa bene dove questo lo stia portando. Non c’è limite al piacere della scoperta, ma questa è una conquista anche per chi non l’ha compiuta. È il caso di dire: niente di personale. «Sì - ribatte Kroto -. La scienza è la sola autentica filosofia internazionale».
Non fosse che per la sua storia di famiglia, sir Harold diffida del sacrificio delle libertà individuali sull’altare di qualsiasi ragion di Stato. «Quelli che non sono in grado di vivere affidandosi a un pensiero razionale soccombono alla tentazione di sottomettersi a organizzazioni che traggono il loro potere facendo leva sulla fragilità della nostra specie». Kroto si definisce un «umanista» attento alla salvaguardia dei diritti fondamentali di ogni donna e uomo «a pensare, parlare e scrivere in piena autonomia e sicurezza». E aggiunge che di tutto ciò «il nazionalismo è ancora uno dei nemici peggiori. Non meno gravi sono i guasti prodotti dal fondamentalismo. La religione può dividere non meno della politica».
È dunque solo la scienza a metterci tutti d’accordo? Come lamentava il grande Eulero, «litigano persino i sobri matematici»! L’epopea della scienza ci appare costellata da dispute tra gli stessi addetti ai lavori, dallo scontro tra Newton e Leibniz circa la priorità della scoperta del calcolo infinitesimale alla «amara polemica» tra Montagnier e Gallo circa l’agente patogeno dell’Aids. Per Kroto l’eccesso di spirito competitivo è male: «Non apprezzo il dedicarsi alla ricerca solo per il riconoscimento pubblico, Nobel incluso. Un giovane scienziato dovrebbe impegnarsi in quello che più gli piace, sfruttando al meglio le proprie capacità. L’appassionata esplorazione del problema cui si è dedicato pagherà, magari nel momento in cui meno se lo aspetta». Di questa «arte» della scoperta Kroto se ne intende! Affascinato sia dalla grafica sia dalla chimica almeno fin dal tempo degli studi all’Università di Sheffield, era poi diventato alla metà degli anni Ottanta del Novecento professore all’Università del Sussex; intanto, i radioastronomi avevano riscontrato la sorprendente presenza di complesse molecole di carbonio nello spazio interstellare. Analisi spettroscopica e sintesi di laboratorio consentivano l’indagine di queste catene di carbonio «disperse nello spazio»; Kroto congetturò che esse si formassero nelle parti più fredde delle stelle e, nel «riprodurre» tali condizioni, riuscì a immaginare la struttura del cosiddetto «Carbonio sessanta», ritrovando le forme di un solido semiregolare (1985). Anche la natura gioca al meccano: quella congettura un po’ «geometrica» e un po’ «suggerita dall’esperienza» doveva trovare realizzazione in laboratorio (1991) a opera di Robert Curl e Richard Smalley. La struttura è stata battezzata «buckminsterfullerene», in onore di Buckminster Fuller, visionario e geniale architetto che amava costruire le sue cupole sfruttando i solidi regolari che già per Platone costituivano gli elementi del cosmo. Il filosofo di Atene non doveva avere tutti i torti, lui che teneva fuori dalla sua accademia chi non sapeva di geometria! Commenta Kroto: «Per capire la cultura dell’Italia - la sua poesia, la sua letteratura - non bisogna forse impadronirsi dell’italiano, anche negli aspetti più tecnici della lingua come il suono, il ritmo e la cadenza? Così, per comprendere la scienza è d’obbligo imparare il linguaggio in cui essa è scritta ovvero la matematica. Non è un gergo elitario con cui la comunità scientifica intende isolarsi dal mondo, ma si rivela (anche se in modi differenti nelle diverse discipline) lo strumento adatto a spiegare la natura e i suoi misteri». La scoperta per cui Kroto - insieme con Curl e Smalley - ha ricevuto il massimo riconoscimento ha innescato una serie di ricerche che, a distanza di un decennio, rivelano inattese connessioni tra i grandi oggetti dell’astronomia e le piccole strutture delle nanotecnologie. Sir Harold, promotore del Progetto Vega mirante a realizzare film scientifici per la televisione, ritiene che «una buona educazione alla scienza consenta di fare esperienza dell’intrinseca bellezza del mondo».
Però, evocando Nobel, a qualcuno possono venire in mente gli esplosivi. Dalla mitica casalinga di Voghera (o di Bolton) al pensatore apocalittico alla Jürgen Habermas, si tende oggi a vedere negli strumenti degli scienziati non più un benefico meccano, ma l’armamentario di apprendisti stregoni ben più perniciosi che nella favola. Per Kroto «il problema è come la società debba servirsi del sapere scientifico. È dovere di ogni scienziato attingere alle proprie capacità e alla propria esperienza per far sì che le acquisizioni scientifiche vengano utilizzate in modo saggio. Ma non si conquista la saggezza denigrando scienza e tecnologia. Sono d’accordo con chi - come il biologo Richard Dawkins - ritiene che, di fronte al disprezzo che troppi mostrano nei confronti dell’impresa scientifica, sia giunto il momento di "alzarsi in piedi" per rivendicare quella che è la migliore eredità dell'Illuminismo». La luce della scienza può sembrare a molti fioca e incerta, ma per non lasciarsi impressionare dal buio è bene tenere accesa quella candela.

Gli appuntamenti della rassegna
L’intervista-dialogo di Giulio Giorello con Harold Kroto anticipa i temi che saranno trattati oggi nel penultimo appuntamento della «Milanesiana», la rassegna culturale diretta da Elisabetta Sgarbi. Oltre al chimico inglese, protagonisti della serata «Numeri primi... parole seconde» (al Teatro dal Verme alle ore 21) sono il matematico Marcus du Sautoy e il cantante Elio. Kroto, nato nel 1939 a Wisbech, è baronetto di Sua Maestà britannica, fiancheggiatore di Amnesty International e animatore del Progetto Vega per la divulgazione scientifica attraverso i media (www.vega.org.uk). Nel 1996 ha vinto il premio Nobel (insieme a Robert Curl e Richard Smalley) per la scoperta del «buckminsterfullerene». «La Milanesiana», giunta alla sesta edizione, si chiude domani con l’incontro «Architetture tra esili e libertà»: interverranno il poeta siriano Adonis, Diamanda Galás e Mario Bellini.