La Stampa 6 Luglio 2005
Borges
IL GRANDE SCRITTORE E LE DONNE, UN RAPPORTO DISASTROSO. TUTTA COLPA DELLA MADRE?
DUE BIOGRAFIE A CONFRONTO
Mario Baudino
LA terribile Doña Leonor, madre di Jorge Luis Borges, incappò una volta in una gaffe strepitosa che, come scrive Alberto Manguel nel suo Con Borges (Adelphi), avrebbe incantanto il dottor Freud. Disse alla tv francese, a proposito del figlio cui faceva da perfetta segretaria, scrivendo sotto dettatura le sue pagine e regolando ogni aspetto della vita, che ne rappresentava la «mano», proprio come lo era stata del defunto marito, anche lui colpito da cecità intorno ai cinquant’anni. E pronunciò così larga l’espressione «la main», col suo accento argentino, che venne fuori un indubitale «l’amant», sostantivo in questo caso maschile, per la delizia di tutti coloro che non ignoravano la sua possessività. Doña Leonor Fanny Borges è morta quasi centenaria nel ‘75, il grande scrittore è scomparso nell’86, ma quelli che sono stati a lungo i fantasmi di una complicata vita famigliare continuano ad aggirarsi tra i libri, a volte quasi petulanti.
Che l’autore della Biblioteca di Babele risultasse oppresso dalla madre, e che facesse mostra di dipenderne totalmente, si sapeva; per lei era l’eterno ragazzo cui badare, notte e giorno, tanto da poter tranquillamente fare in pubblico affermazioni come quella udita da un professore di Yale, durante una cena. Una signora aveva chiesto a Borges, sessantenne, se desiderava del vino, e Leonor l’aveva stoppata con un netto: «No, il ragazzo non ne vuole». Questa, e molte altre testimonianze sono state rese pubbliche in una monumentale biografia di Edwin Williamson (Borges, a Life, Viking Press) uscita in America, che ha suscitato discussioni. Perché l’autore non si limita a ripercorrere il rapporto con la madre e di conseguenza quello - sfortunato - con le donne in generale, ma ne evidenzia le conseguenze, a suo dire, sull’opera di Borges. Tesi senza dubbio discutibili: sul piano della vita privata, però, la mole delle testimonianze inedite - connesse abilmente con le altre già note - è impressionante. Quella madre dominante e divoratrice decise della sfera sentimentale del figlio. Inevitabilmente lui era attratto da donne che le dovevano per forza dispiacere, e altrettanto inevitabilmente andava incontro a disastri.
Williamson si spinge anche a ipotizzare un trauma giovanile durante l’adolescenza a Ginevra. Quella volta fu il padre che, seguendo un’usanza tipica all’epoca dei maschi argentini, lo mandò da una prostituta per iniziarlo all’età adulta. Ma il futuro scrittore, per strada, cominciò a riflettere sul fatto che forse il genitore era già stato a letto con la donna cui adesso lo indirizzava. E da allora non riuscì più a separare il sesso dalla vergogna. Il biografo porta a sostegno di questa teoria - che sembra un po’ meccanica - molti esempi: come gli amori impossibili con Norah Lange, bellissima donna, poetessa di origini scandinave, che ben presto si liberò di Borges e scrisse anche un romanzo assai scandaloso dal titolo 45 giorni e 30 marinai molto sponsorizzato da Pablo Neruda. Quando lo lasciò, andandosene semplicemente assieme a un altro, il poeta surrealista Oliveiro Girondo, da un party dove erano arrivati insieme, lo scrittore ne soffrì talmente che per trent’anni non scrisse più un verso. Ma sarà questa la ragione, visto che nel frattempo compose invece, in prosa, i suoi capolavori?
Con un’altra donna della sua giovinezza, Estela Campo, con cui si riteneva fidanzato, avrebbe rifiutato sempre per panico esplicite richieste di rapporti sessuali; anche lei lo lasciò, ma perché si era accorta che nella serate insieme si defilava spessissimo per chiamare la madre. A farla breve, questo infelice «Borges in love» sarebbe riuscito a trovare una certa felicità coniugale solo quando, morta Doña Leonor, iniziò il suo ménage con l’ex allieva Maria Kodama, sposata poi due mesi prima di morire. La ricostruzione rischia di sembrare farsesca, anche se gli episodi sono veri. Sembra una commedia, un romanzo di buffe disgrazie, questo guardare alla vita dello scrittore che più ha influenzato la letteratura contemporanea prendendo come punto di vista i rapporti madre figlio. Ma un Borges in love, sebbene non sia un romanzo, è stato scritto davvero, e proprio da Alberto Manguel. Fa parte dei saggi raccolti in Into the Looking-Glass Wood (Nel bosco degli specchi, uscito in Inghilterra per Bloomsbury) e da noi verrà pubblicato separatamente in autunno da Rosellina Archinto.
In esso l’autore argentino, di nazionalità canadese, che scrive in inglese e vive in Francia, noto per una bella Storia della lettura pubblicata anni fa da Mondadori, ci racconta fra l’altro il primo matrimonio di Borges, nel ‘67, l’unica occasione in cui la madre fu d’accordo sulla scelta del figlio. Un disastro. Elsa Astete de Millán non era minimamnete coinvolta dalla letteratura e dalle opere del marito, era gelosa, avida, interessata solo alla fama dello scrittore e a metterla a frutto economicamente. Lui al mattino amava raccontare i sogni, lei non sognava e non ne voleva sentir parlare. Gli proibì ogni rapporto con la madre, avendo evidentemente capito la situazione. Una volta a Harvard, dove Borges era stato invitato per una serie di conferenze, un docente lo trovò nottetempo all’esterno, e in pigiama. «Mia moglie mi ha chiuso fuori» disse con tutta naturalezza il grande scrittore. Nel ‘70, infine, se la dette a gambe in modo rocambolesco, grazie agli amici, facendosi imbarcare su un aereo per Cordoba mentre un ufficiale giudiziario con tre facchini bussava all’appartamento coniugale con l’ordine di portare via tutti i libri.
L’occhiuta Doña Leonor, quella volta, era stata finalmente smentita, ma non fu certo una liberazione. Semplicemente l’eterno ménage madre-figlio riprese come prima. Una vittima, questo Borges in love? Andiamoci piano, ci dice Manguel dalla sua casa vicino a Poitiers. In realtà c’era una sorta di scambio, una simbiosi. «Doña Leonor aveva un carattere molto forte, e Borges faceva tutto quel che lei voleva. Quando, giovanissimo, lo frequentavo per leggergli ad a volte voce i libri che ormai cieco non poteva più vedere, se per caso si decideva di uscire lei voleva saper tutto: dove saremmo andati, a che ora saremmo tornati e così via. Però Borges, in qualche modo, la utilizzava. Se una donna gli metteva paura, lui anziché dirle “ti lascio” faceva capire che sua madre lo costringeva ad abbandonarla». Un gioco un po’ perverso, non le pare? «Un gioco. Quando ha sposato Maria Kodama e si sono trasferiti a Ginevra, molti amici suoi erano convinti che lei l’avesse forzato. Anche in questo caso non era vero: non si è mai lasciato forzare da nessuno».
Quindi non era affatto un carattere debole? «No, era fortissimo. E non rinunciava alle sue idee». Semmai, la sua vita sentimentale è stata divorata da un padrone ben più inflessibile: la letteratura. «Per lui Dante scrisse la Commedia solo per essere, almeno per un momento, con Beatrice. Così si può dire che Borges abbia creato la sua opera allo stesso modo, per abbracciare davvero una donna. Ma è stata proprio la letteratura a impedirglielo, perché si è sempre rivelata la cosa più importante». Secondo Manguel il biografo Williamson sbaglia, mettendo in relazione i libri con il rapporto materno e la vita sentimentale. «Borges amava il genere epico, gli piacevano la violenza, il sangue, la battaglia. Sua madre al contrario prediligeva Balzac o Stendhal, scrittori che a lui non dicevano nulla». E, aggiunge, la sua vita amorosa non ci serve comunque a capire la sua opera. «È un po’ come se ci chiedessimo che cosa mangiava Kant». Come autore non si è mai lasciato condizionare. Anzi: «Quando ha scritto L’intrusa, uno dei suoi racconti più terribili, le ultime frasi, che non gli venivano, furono suggerita proprio dalla madre. Ed erano totalmente borghesiane».
Infatti. Il breve racconto, che fa parte del Manoscritto di Brodie, e peraltro venne ritirato per un certo tempo dall’autore e dalla vedova, mette in scena due fratelli piuttosto rudi e feroci, innamorati della stessa donna. Per non ritrovarsi in contrasto, prima decidono di dividerla, poi di venderla a un bordello. Ma anche così tracima una rivalità strisciante. E allora uno dei due la uccide. È a questo punto che Borges si sarebbe fermato, non riuscendo a trovare una conclusione abbastanza folgorante; dopo qualche indugio il suggerimento decisivo gli sarebbe venuto dalla madre, intenta a scrivere sotto dettatura quelle pagine. Due brevissimi capoversi, dove parla l’assassino: «Al lavoro, fratello. Poi ci aiuteranno gli avvoltoi. Oggi l’ho uccisa. Che rimanga qui con la sua roba. Non farà più danno». Con la voce dell’autore che aggiunge: «Si abbracciarono, quasi piangendo. Adesso li univa un altro legame: la donna tristemente sacrificata e l’obbligo di dimenticarla». Senza dubbio una conclusione d’autore. Doña Leonor, proponendola, aderì alla poetica del figlio, si fece inglobare nel suo stile; ma è difficile scacciare l’idea che nello stesso tempo abbia dato voce letteraria anche ai propri sentimenti. Nemmeno troppo segreti.
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