mercoledì 6 luglio 2005

storia dell'uomo
la questione dell'antichità dell'uomo americano

Corriere della Sera 6.7.05
I nuovi reperti fanno anticipare la migrazione. Ma gli esperti si dividono
Ecco l’orma del primo americano È vecchia di quarantamila anni
Trovate in Messico 269 impronte. «Ridisegnano la storia»
Viviano Domenici

Un gruppo di orme fossili scoperte in Messico sembra indicare che gli uomini raggiunsero per la prima volta il Nuovo Mondo 40 mila anni fa, cioè almeno 15 mila anni prima di quanto venisse finora ipotizzato. Le impronte identificate sono 269 e in certi casi mostrano vere e proprie camminate di uomini che si muovevano sulle rive del lago Valsequillo, a Puebla, 125 chilometri a sud-est di Città del Messico. Quando lasciarono le loro impronte, una decina di adulti e bambini stavano probabilmente fuggendo davanti all’eruzione del vulcano Cerro Toluquilla. Dal cielo cadeva una pioggia di acqua e cenere che depositò sul terreno un soffice tappeto, dove rimasero impresse anche le orme di diversi animali. Poi la cenere solidificò, trasformandosi in tufo vulcanico, e col tempo le acque del lago coprirono tutto con uno spesso strato di sedimenti che ha protetto le orme fino ai giorni nostri. Nel corso dei millenni, però, gli agenti atmosferici hanno lentamente dissolto i sedimenti lacustri e in epoca recente sono venuti allo scoperto gli strati di tufo vulcanico su cui sono impresse le orme. La scoperta è stata fatta nell’estate del 2003 da un’ équipe di studiosi inglesi e messicani diretta da Sylvia Gonzales dell’università di Liverpool che, con i colleghi Dave Huddar e Matthew Bennet, ha dato ora l’annuncio del ritrovamento alla Royal Society di Londra pubblicando su Science la relazione scientifica. Le datazioni sono state fatte incrociando due diverse tecniche che prendono in esame sia il carbonio presente nelle conchiglie inglobate nei sedimenti lacustri a contatto con lo strato delle orme, sia la luminescenza emessa dai cristalli contenuti nelle antiche ceneri vulcaniche. Entrambe le tecniche hanno indicato una data oscillante tra i 38 e i 39 mila anni fa. Tenendo conto della distanza esistente tra il Messico e lo Stretto di Bering - punto di ingresso dei primi asiatici nel continente americano - si può affermare che l’arrivo dell’uomo sul continente americano dovette avvenire almeno 40 mila anni fa.
Il momento della prima colonizzazione del continente americano divide da sempre gli studiosi. Quasi tutti però concordano sul fatto che gli uomini (Sapiens sapiens) passarono dalla Siberia all’Alaska in un periodo glaciale in cui l’immenso accumulo di acqua nei ghiacci delle calotte polari aveva fatto abbassare il livello degli oceani di circa 100 metri. Questo fenomeno aveva messo allo scoperto i fondali dello Stretto di Bering e creato un «ponte» naturale di terre emerse che i cacciatori del paleolitico attraversarono inseguendo le mandrie di animali diretti verso i nuovi territori. Un gruppetto di uomini che molti specialisti valutano in poche decine di individui e che, in qualche millennio, popolarono l’intero continente, dall’Alaska alla Terra del Fuoco.
In linea di massima questo è lo scenario condiviso dalla maggioranza degli studiosi. Ma si trattò di una sola migrazione e di ondate successive? Quando arrivò il primo gruppo? In passato veniva indicata una data attorno ai 12 mila anni fa, ma negli ultimi anni diverse scoperte archeologiche hanno spostato decisamente la data di arrivo dei primi uomini verso i 30 mila anni fa, mentre alcune indagini genetiche suggeriscono di spostare l’evento verso i 40 mila anni fa.
La data di 40 mila anni indicata dalle orme chiarisce definitivamente la questione? Niente affatto. L’annuncio della scoperta è stato infatti accolto da un coro di dichiarazioni di specialisti che invitano alla prudenza, ritenendo avventata l’attribuzione all’uomo delle impronte ritrovate. Tanta incertezza è data soprattutto dalla cattiva conservazione delle impronte stesse. Lo strato di tufo su cui sono impresse è stato infatti esposto agli agenti atmosferici per troppo tempo e questo ha inciso gravemente sul livello di definizione delle orme che solo in alcuni casi ricordano le orme umane.
Tutto lo strato è ricco di orme di animali diversi tra cui si riconoscono uccelli, felini, lupi, cervi e cammelli e - sostengono alcuni studiosi - quelle che oggi sembrano umane potrebbero essere in realtà di qualche altro animale. Gli stessi autori della scoperta ritengono che in effetti qualche problema di identificazione c’è, ma si dichiarano convinti di aver trovato i primi passi dell’uomo in America. Una coincidenza singolare. Quarantamila anni fa è la data d’arrivo nell’Europa meridionale (Italia compresa) dei Sapiens sapiens, che annientarono i «cugini» Neanderthal; sempre 40 mila anni fa l’uomo raggiunse l’Australia, l’ultimo continente ancora disabitato. Evidentemente fu quella un’epoca di spostamenti planetari, ma il perché non lo sappiamo.