mercoledì 8 dicembre 2004

sinistra
chiude “la Rivista del manifesto”

Aprileonline.info 8.12.04
SINISTRA. ULTIMO NUMERO PER “LA RIVISTA DEL MANIFESTO”
''il manifesto'' spiazza un’altra volta
Mentre il quotidiano prepara un’assemblea con Asor Rosa, il mensile annuncia la chiusura. ''Contenitori'' e ''contenuti'' non si incontrano?

Ogni giornale di sinistra che chiude, è banale dirlo, è una voce in meno che ci aiuta a pensare. Quando ad annunciare la chiusura, dopo 57 numeri, è “la Rivista del manifesto” il dispiacere si acutizza. Firme autorevoli – da Lucio Magri a Pietro Ingrao, da Rossana Rossanda a Aldo Tortorella, da Giuseppe Chiarante a Fausto Bertinotti – ci hanno accompagnato per cinque anni rinverdendo (anche nella grafica e nel formato) “il manifesto” delle origini, quello nato nel giugno del 1969.
La chiusura è motivata politicamente in modo trasparente, come vuole una buona tradizione: c’è un contrasto nel comitato di direzione sull’analisi e sulle prospettive. Lucio Magri, il direttore, con un lungo articolo ne ricostruisce le dinamiche e annuncia di ritenere esaurito il suo ruolo insieme alla “spinta propulsiva” che aveva generato l’idea progettuale della rivista.
La sconfitta è cocente. Erano tornati a lavorare insieme gli esponenti più autorevoli della “sinistra comunista”, quella nata nell’XI Congresso del Pci del 1966, quando Pietro Ingrao sollevò dubbi sul centralismo democratico e sulla strategia del partito. Da quel Congresso presero le mosse gli ingraiani, alcuni dei quali finirono poi radiati dal Pci nel 1969 con un voto dello stesso Ingrao, il quale sarebbe arrivato nelle stanze di via Tomacelli con venticinque anni di ritardo. Quel ritrovarsi lasciava ben sperare sulla ricerca da condurre insieme e dava perfino un sapore sentimentale al ricongiungimento.
Sulle ragioni delle divisioni politiche i lettori avranno di che farsi un’opinione leggendo l’ultimo numero in edicola del mensile. Il punto dirimente resta però il giudizio sulla storia del comunismo italiano e sulla recente “svolta” di Rifondazione, da alcuni ritenuta eccessiva per le conclusioni che trae in merito sia alla nonviolenza come metodo e strategia sia alla ricollocazione del Prc che gira le spalle alla tradizione comunista. Ci sono poi giudizi diversi sull’urgenza di un “nuovo contenitore” dove raccogliere la sinistra critica e alternativa.
C’è chi – come ha fatto recentemente Alberto Asor Rosa sul “manifesto quotidiano” – si pone il problema di unificare il più possibile quel 13 per cento che non si riconosce nei Ds e chi individua in Rifondazione, proprio grazie alla sua “svolta”, il punto di partenza di un eventuale rimescolamento politico e organizzativo. E c’è chi, come Magri e Rossanda, ricostruisce pure le occasioni perdute e che non ritorneranno, come la fase seguita alla sconfitta elettorale del centrosinistra nel 2001, quando Luigi Pintor si impegnò a lanciare inascoltato un dibattito sulla stessa prospettiva che oggi si vuole attualizzare.
A sconcertare, a dire la verità, è che il mensile annunci il suo ultimo numero lo stesso giorno in cui Gabriele Polo, direttore del quotidiano, in prima pagina scrive un editoriale per dire che il 15 gennaio (forse al Teatro Brancaccio, dove nacque nel 1991 Rifondazione comunista, dove “il manifesto” aprì la sua sfortunata campagna elettorale nel 1972, dove Palmiro Togliatti tenne uno dei suoi primi discorsi nell’Italia del dopoguerra) “il manifesto” chiamerà a discutere della proposta di Alberto Asor Rosa forze sociali, partiti, movimenti, sindacati e associazioni. E’ come se ci sia stato un cortocircuito tra chi vuole lavorare al nuovo “contenitore” ripoliticizzandosi in questo percorso e chi a quel contenitore dovrebbe fornire i “contenuti”.
Tra i tanti misteri della sinistra italiana, ora se ne è aggiunto un altro. E noi, che abbiamo bisogno di contenitori e contenuti come l’aria, ci sentiamo più poveri perché ci mancherà un luogo da ascoltare e leggere con la curiosità di chi dalle generazioni maggiori spera sempre di avere un’illuminazione.
Ci auguriamo che abbia ragione Alessandro Vannini, il disegnatore del mensile, che nella vignetta sulla copertina della “Rivista del manifesto” in edicola schizza un omino fuori dalla porta intento ad affiggere il cartello “Torno subito”. Sì, se è possibile, tornate subito.


Liberazione 8.12.04
La "Rivista del manifesto" chiude. Magri: abbiamo esaurito "la spinta propulsiva"
Dibattito a sinistra

A cinque anni dalla sua nascita, con 56 numeri alle spalle, una diffusione di ottomila copie e 2000 abbonati, la Rivista del manifesto chiude. A comunicarlo ai lettori un ampio primo piano della rivista stessa in cui il direttore, Lucio Magri, ma anche numerosi componenti del comitato di direzione (Chiarante, Cremaschi, Ingrao, Parlato, Rossanda, Santostasi, Serafini, Tortorella) spiegano le motivazioni che hanno portato a una scelta così impegnativa. «Abbiamo esaurito la spinta propulsiva» dice Magri nel suo editoriale di saluto, rammaricandosi per un esito che è comunque il frutto della difficoltà a «ricostruire una sinistra politica» in cui si intrecciassero un nuovo pensiero e nuove esperienze. A rendere praticamente impossibile questo percorso, dice Magri, è la difficoltà a evitare in un percorso di «rifondazione» della sinistra sia «la patetica nostalgia» che la «liquidazione sommaria» dei riferimenti storici e teorici. «C'è chi - scrive ancora Magri - ha sentito l'esigenza di una rottura e di un'autocritica molto più esplicita e radicale rispetto al passato (...) Cito solo Pietro Ingrao per il peso che ha avuto e la crudezza del suo recente libro-intervista». «Altri -aggiunge Magri - e paradossalmente io, sentono l'esigenza di andare controcorrente, di non varcare la soglia che divide anche la critica più dura dalla secca rimozione e tanto più dalla liquidazione». Nel resoconto del dibattito redazionale è Pietro Ingrao a proporre «una nuova fase» in cui siano presenti un dialogo più impegnativo con Rifondazione comunista e anche l'opportunità di un'intesa di lavoro fra gli organi di stampa della sinistra ("manifesto" e "Liberazione" prima di tutto)».