RAGAZZI TERRIBILI
I linguaggi infantili nell’arte del ‘900
di Lea Mattarella
La fanciullezza come tempo di una libertà che si vorrebbe ritrovare o come periodo di paure ed inquietudini: a LuganoCHE l'artista sia un eterno bambino è quasi un luogo comune. Ma non è affatto detto che in ogni attempato Peter Pan si nasconda un pittore, un musicista, uno scrittore di talento. Anzi.
un itinerario variegato da Klee a Pistoletto
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Questa affascinante mostra intitolata Les enfants terribles, curata con un pizzico di genialità e molta competenza da Marco Franciolli, Helmut Friedel e Giovanni Iovane, analizza il rapporto tra l'arte e l'infanzia dal 1909 ad oggi, conducendoci attraverso un variegato itinerario in cui la fanciullezza assume molti significati, spesso ambivalenti. Qualcuno la percepisce come l'epoca della vita a cui si vorrebbe continuamente tornare. Ma c'è anche chi la interpreta come una fase piena di incertezze e di inquietudini. Per molti artisti è l'età della paura, dei pericoli più che della libertà espressiva. La cosa che fa riflettere è che questi ultimi sono soprattutto gli artisti di oggi. Quasi che ormai non ci sia più spazio neanche per la fuga nei miti di un passato perduto. Altro che Peter Pan e l'isola che non c'è! Qui ci sono giocattoli trasformati in terribili trappole mortali, come nell'installazione di Carsten Höller intitolata Killing children. Oppure c'è una bambina che legge Wittgenstein ad alta voce: succede nel video di Gary Hill. E, addirittura, nelle foto di Christian Boltansky ecco l'infanzia cancellata e reinventata su quella degli altri: un falso, l'opera sofferta di un impostore di talento.
Eppure l'inizio di questo viaggio nell'universo infantile è pieno di speranza, addirittura rassicurante. C'è un fanciullo sorridente che mostra con fierezza il suo disegno. Lo ha dipinto Giovanni Francesco Caroto nel 1520. E' l'unica testimonianza del passato in mostra e rivela come un bambino del Cinquecento disegnasse esattamente come i nostri figli. Bella scoperta, dirà qualcuno. E invece c'è qualcosa di magico in questo segno acerbo che resta immutato nei secoli. Sono poche e tutte fondamentali, quasi fisiologiche, le cose che si fanno sempre (e per sempre) nello stesso modo.
E poi eccoci nel Novecento, nel secolo dell'avanguardia. E il punto è proprio questo: qui tutto cambia. Mentre per secoli l'arte occidentale è stata profondamente distaccata dall'elemento infantile e noi, del passato, abbiamo mitizzato pittori che fin da giovanissimi restituivano una figura, un paesaggio, o semplicemente una O, nel modo più perfetto possibile, nel XX secolo il discorso si complica. Perché gli artisti, adesso, è come se volessero ricominciare da capo: tabula rasa, grado zero. Così si riconnettono all'infanzia, ai primi vagiti dell'espressività. Un'opera non rappresenta più la realtà ma una propria verità, diventa l'espressione di ciò che Kandinskij chiama «il suono interiore».
E chi meglio di un bambino sa raccontare l'interiorità senza mediazioni e sovrastrutture culturali? Il legame tra l'espressione creativa infantile e la coppia Wasilji Kandinskji e Gabriele Münter è dimostrato dalla loro collezione di disegni di bambini esposti in mostra accanto ai loro meravigliosi dipinti. La Münter addirittura utilizza alcune di queste carte come modelli; per lei è fondamentale recuperare quei tratti incerti e nello stesso tempo liberi da condizionamenti delle sue nipoti, dei figli dei suoi amici, dei piccoli alunni della scuola accanto. Anche nell'Almanacco del Blaue Reiter accanto alle opere di Kandinskij, Münter, Rousseau, Picasso, Matisse, Delaunay, Macke, Marc, Jawlenskij, compaiono immagini di arte popolare e primitiva, disegni di malati di mente e creazioni dei bambini. Un modo per riconoscere che quelle sono le loro fonti perché, per dirla con il grande pioniere dell'astrattismo, «c'è nel bambino un’immensa forza inconscia, che si manifesta nei suoi disegni e li pone sullo stesso piano (e spesso più in alto) delle opere degli adulti».
Riflettere sull'espressione infantile significa rinnovare completamente il proprio linguaggio creativo. Ne sa qualcosa Paul Klee che nel 1902 ritrova i disegni che aveva fatto da piccolo e riconosce questi «primordi artistici» come «la cosa più significativa fatta fin'ora». Quando nasce il figlio Felix, lo trasforma affettuosamente in una specie cavia da cui trarre spunti e suggestioni. Insieme alle marionette di Klee e alle sue bellissime carte, in mostra c'è anche un acquarello del piccolo Felix. E viene comunque da chiedersi: se non fosse stato il figlio di Klee, Felix avrebbe disegnato così kleeianamente? Chi influenza chi in questi casi? Tra gli artisti che hanno giocato seriamente con l'infanzia ci sono anche Picasso, Dubuffet, Melotti, Pistoletto, Paolini, Miró. E poi Warhol, Koons, Zoe Leonard, Beuys… In tutto 120 opere: segni, colori, oggetti di «grandi bambini» dell'arte contemporanea.