martedì 12 aprile 2005

Cina e India, disgelo
si profila l'accordo fra i due più promettenti sistemi economici del pianeta

Il Presidente cinese da oggi in India

La Cina
Con un miliardo e 300 milioni di abitanti, la Cina è il Paese più popoloso del mondo. Il prodotto interno lordo è di 1.300 miliardi di dollari. Il pil pro capite è di mille dollari annui
Il Giappone
Gli abitanti del Giappone sono 127 milioni. Il pil lordo è di 5 mila miliardi di dollari. Il pil pro capite arriva a 33 mila dollari annui
L’India
L’India, secondo Paese più popoloso del mondo con il suo miliardo di abitanti, ha un pil di 650 miliardi di dollari. Il pil pro capite annuo è di 600 dollari

L'Unità 12 Aprile 2005
disgelo
Accordo sui confini fra India e Cina

Pechino sosterrà New Delhi all’Onu

NEW DELHI Il primo ministro indiano Manmohan Singh e il suo omologo cinese, Wen Jiabao, hanno raggiunto ieri a New Delhi uno storico accordo per regolare le questioni in sospeso da decenni sui rispettivi confini. Nel 1962, la comune rivendicazione di alcune parti del Kashmir portò gli eserciti dei due paesi a scontrarsi. Nel 1975 l'India annesse di fatto il Sikkim, fra Nepal e Bhutan. La Cina non ha mai riconosciuto l’annessione, ed ha anzi continuato a rivendicare la propria sovranità anche sull’Arunchal Pradesh, nell'India nordorientale. Le intese di ieri non risolvono completamente le dispute aperte su tutti quei territori, ma rappresentano una sorta di accordo preliminare in vista di una definitiva sistemazione. Manmohan Singh e Wen Jiabao si sono trovati d'accordo nel ribadire le differenze fra i due Paesi, ma soprattutto sulla necessità di evitare che esse possano avere effetti negativi sull'evoluzione dei rapporti sino-indiani.
Testimonianza di questo cambiamento, la decisione cinese di appoggiare la richiesta dell'India di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: «Dal nostro punto di vista è importante che la Cina guardi con favore al fatto che l'India ottenga un seggio permanente alle Nazioni Unite», ha dichiarato il ministro degli Esteri indiano Shyam Saran.
Manmohan Singh e Wen Jiabao hanno firmato un documento che consta di undici punti principali e che, in particolare, prevede la possibilità di un riaggiustamento futuro dei confini senza tuttavia pregiudicare le condizioni di vita, le usanze, le tradizioni delle popolazioni abitanti in quei luoghi. La risistemazione dei confini dovrà tener conto delle nuove realtà geografiche. Singh e Wen hanno, poi, anche firmato altri accordi per evitare intrusioni militari nei rispettivi Stati e per garantire il mantenimento della pace.

Corriere della Sera 12.4.05
Il gran gioco di Pechino:
linea dura con Tokio e nuovo asse con l’India

Manifestazioni anti-giapponesi in Cina.
Koizumi protesta Risolto con New Delhi il contenzioso su 3.500 km di confine
Fabio Cavalera

PECHINO - Da un lato la politica del sorriso, delle strette di mano fra Cina e India, degli accordi che chiudono l'epoca della incomunicabilità. Dall'altro le tensioni che esplodono fra Cina e Giappone, pilastri della globalizzazione e degli equilibri internazionali.
Sono giorni delicati per gli assetti geopolitici dell'Asia e per i rapporti fra i giganti del Continente. Al centro del complesso mosaico, comunque lo si prenda, c'è in queste ore la Cina che sta affrontando contemporaneamente e sta tenendo il pallino del comando in due fronti dal contenuto contrapposto, ma che ha per oggetto finale la leadership nel Continente e in esso il ridimensionamento degli Stati Uniti. La Cina si presenta - e lo dimostrano gli accordi con l'India e il suo aiuto alle regioni colpite dallo tsunami - in un’ottica multilaterale come nuovo punto di riferimento economico e diplomatico della regione.
Ormai da mesi protagonista di una offensiva diplomatica in tutta l'area del Pacifico, compresa la sponda sudamericana, Pechino ha chiuso il contenzioso con l'India riguardante 3.500 chilometri di confine, un contenzioso che all'inizio degli anni Sessanta aveva provocato un brevissimo confronto militare. Qualche mese fa, aveva compiuto la stessa mossa con Mosca, regolando le questioni sul versante Nord. Il premier Wen Jiabao, in visita ufficiale, ha portato con sé la bozza di un accordo in undici punti e una mappa geografica che definitivamente riconosce la sovranità di New Delhi sul Sikkim, regione centro-orientale della catena dell'Himalaya, dal 1975 ventiduesimo Stato dell'Unione Indiana e sempre conteso da Pechino. Di pari passo ha posto le basi per una cooperazione che dovrebbe alzare il livello degli scambi dai tre miliardi di dollari attuali ai 30 miliardi di dollari nel 2010. E così consolidare un asse economicamente sinergico e fortissimo.
Con una regia perfetta, con in tasca i risultati storicamente pesanti degli incontri bilaterali in corso di svolgimento nell'Asia occidentale, Pechino ha deciso di spostare le sue pedine sull'area politico-diplomatica dell'Asia orientale. Da mesi le relazioni con il Giappone sono difficili. Ora sono al punto di massima frizione. Tanto che fra gli stessi osservatori del Celeste Impero c'è chi ricorda un proverbio: «Basta una scintilla per incendiare la prateria».
Formalmente la scintilla, che ha acceso i risentimenti nazionalisti, è stata la pubblicazione in Giappone di alcuni libri, nei quali viene sottaciuto e deformato il periodo dell’occupazione delle truppe imperiali di Tokio in Cina e i massacri da esse compiuti. Migliaia di studenti cinesi hanno manifestato in corteo in diverse città. Striscioni e vie bloccate. Sassi e bottiglie contro l'Ambasciata giapponese a Pechino. E a ciò si aggiungono iniziative di boicottaggio di prodotti giapponesi e una petizione (no al Giappone nel Consiglio di Sicurezza Onu) che via Internet è stata sottoscritta da 30 milioni di cinesi. Dura la reazione del premier Koizumi: «Non bisogna permettere che queste cose accadano. La Cina è responsabile dell’incolumità dei giapponesi che vi lavorano. Chiedo a Pechino che faccia tutto il possibile per evitare che si ripetano simili violenze».
Non accadeva dal 1989 - salvo le manifestazioni antiamericane dopo il bombardamento della rappresentanza cinese a Belgrado durante la guerra in Serbia - che i giovani si impadronissero di alcune strade centrali nella capitale. Il viale che da Est porta a Tiananmen sabato è stato attraversato da ragazzi di scuole e università senza che intervenisse la polizia. Anzi. Allora, nel giugno ’89, il regime aveva represso con il sangue. Oggi il quadro è ben diverso. Lì era la richiesta, intollerabile, di una apertura democratica. Una crisi interna. Adesso l'obiettivo è strumentale alla politica estera del governo. Il regime tollera e osserva. Forse le agitazioni hanno assunto forme tali da mettere in qualche imbarazzo Pechino. Ma resta la considerazione che queste proteste rappresentino per Pechino una carta di pressione in più per opporsi all'ingresso del Giappone come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza Onu. E al tempo stesso un'arma per impedire il rafforzamento non solo di un vicino potente, ma anche del suo principale alleato, gli Stati Uniti.
La Cina si è abilmente posta al centro del puzzle politico diplomatico che investe l'Asia. Capace di mantenere ben distinte le relazioni commerciali ed economiche e le relazioni politiche. Apparirà come un paradosso, ma nella complessità è invece un elemento che impone una riflessione: con il Giappone i rapporti diplomatici sono oggi tesissimi, ma osservando i dati degli scambi commerciali fra i due Paesi si rilevano numeri straordinari. Nel 2004 e nei primi mesi del 2005 il primo partner del Giappone (più del 20 per cento dell'import-export) è stata la Cina. Che ha superato gli Stati Uniti. Fermi al 18 per cento.

Corriere della Sera 12.4.05
«Ma l’obiettivo dei cinesi è il Consiglio di Sicurezza»
Pechino è contraria a dare a Tokio un seggio permanente nell’organismo di governo mondiale.
Ci sono anche preoccupazioni mercantili. Ma è una ragione secondaria

D. Ta.

NEW YORK - Alla radice delle manifestazioni anti-giapponesi in Cina non ci sono certo i libri di testo di Tokio, sostiene Richard Samuels, direttore del Center for International Studies del Mit di Boston, grande esperto di Asia dell'Est, autore nel 2003 di un libro che confronta politica giapponese e politica italiana, Machiavelli's Children. E difficilmente, aggiunge, si tratta di cortei spontanei, viste le dimensioni. «Come minimo c'è un tacito appoggio ufficiale» dice.
Professor Samuels, la Cina alza la tensione con il Giappone e in parallelo migliora i rapporti con l'India. Cosa ci legge?
«L'accordo tra Pechino e New Delhi va certamente salutato positivamente. Per i cinesi è positivo risolvere una disputa di confini che va avanti da anni: allevia le tensioni su un fronte. Anche tra Cina e Giappone ci sono dispute di confine, ma mi pare più difficile che vengano risolte a breve. Però non vedrei una relazione diretta tra i due eventi».
Cosa sta alla radice dei cortei anti-giapponesi?
«Pechino è contraria a dare a Tokio un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. La parte cinica di me mi fa pensare che i dirigenti cinesi mandino avanti i dimostranti per poi dire che la Cina è un Paese che ascolta le proteste popolari e non può che dire no al Giappone».
Unica ragione?
«Potrebbero esserci preoccupazioni mercantili: i manifestanti invitano a boicottare i prodotti giapponesi. Ma è una ragione secondaria».
Negli Usa c'è molta preoccupazione per il riarmo cinese e per la situazione di Taiwan. Nessuna relazione?
«Indiretta. Stati Uniti e Giappone hanno detto, assieme, la settimana scorsa, di avere preoccupazioni strategiche su Taiwan. E' la prima volta che usano il termine strategiche e questo ha irritato Pechino. Che dunque è ben contenta delle manifestazioni anti-giapponesi».
Le tensioni influiranno sulle trattative con la Corea del Nord?
«Non credo, non vedo connessioni. Sia la Cina che il Giappone hanno interesse a pacificare la Penisola coreana: esattamente allo stesso modo. Non siamo di fronte a una svolta da parte di Pechino, è che di tanto in tanto le relazioni tra i due Paesi si scaldano: i cinesi si irritano per la rigidità giapponese e i giapponesi si irritano perché Pechino li mette sotto pressione».

Repubblica 12.4.05
India e Cina il patto degli ex giganti poveri
Intesa tra i premier per comporre la disputa di confine sull'Himalaya e rilanciare i rapporti politici ed economici. Pechino sosterrà Nuova Delhi per un seggio all'Onu
India-Cina, nasce il nuovo asse accordo per sfidare il mondo
Federico Rampini
una segnalazione di Melina Sutton

PECHINO. È l'abbraccio tra il dragone e l'elefante, simboli dei due paesi che stanno cambiando la faccia del mondo. Ancora pochi anni fa il vertice di Nuova Delhi tra il premier cinese Wen e l'indiano Singh sarebbe stato il summit dei giganti poveri. Ieri i due leader si sono definiti "partner strategici" e guidano il nuovo asse geoeconomico che diventa il centro del pianeta. Sono da un decennio i due paesi vincenti per la crescita del Pil (+9% annuo la Cina, +8% l´India), insieme fanno il 40% della popolazione mondiale. Per questa combinazione tra dinamismo economico e peso demografico, esercitano una pressione drammatica su tutte le risorse del pianeta: consumano di tutto di più, dal petrolio all'aria che respiriamo.
La locomotiva industriale cinese procede nell'invasione dei mercati mondiali: +60% le esportazioni del "made in China" in Italia negli ultimi due mesi, +44% in Germania, +37% in America. L'India sta conquistando un predominio in settori ad alto contenuto intellettuale, nel software informatico, nella biogenetica, perfino nella delocalizzazione della medicina ospedaliera dai paesi ricchi. C'è una complementarietà tra i due paesi che ha fatto nascere il neologismo "Cindia", per designare il nuovo macro-sistema.
Per rendere omaggio alla specializzazione hi-tech dei suoi vicini, Wen Jiabao ha cominciato la visita non dalla capitale politica New Delhi, ma dalla Silicon Valley dell´India, Bangalore. Da lì il premier cinese ha lanciato uno slogan che non molto tempo fa sarebbe sembrato velleitario: «Insieme possiamo fare del XXI secolo l'èra della leadership tecnologica asiatica». Di recente il fondatore della Microsoft Bill Gates, parlando davanti ai governatori degli Stati Usa, ha detto: «Sono terrificato per la nostra forza lavoro di domani. Nella competizione internazionale per avere il maggior numero di lavoratori nelle industrie della conoscenza, l'America perde terreno mentre avanzano Cina e India». Banche d'affari angloamericane e venture capitalist in cerca di opportunità di investimento, tutti ormai ragionano su uno scenario in cui la crescita futura verrà esclusivamente da un nuovo club di paesi: i "Bric", cioè India e Cina più Brasile e Russia. L'India cerca di riformarsi per diventare meno protezionista, meno burocratica, più deregolata, e il suo modello neoliberista lo trova a Pechino. L'esperimento di "zone franche" che il premier Manmohan Singh vuole varare ricorda la prima apertura cinese al capitalismo, un quarto di secolo fa sotto Deng Xiaoping.
Il vertice di ieri a Nuova Delhi non è stato solo il simbolo di una nuova èra per l'economia globale ma anche una svolta politica. Per decenni i rapporti bilaterali sono stati tormentati. Nel 1962 la Cina attaccò l'India, invase il suo territorio e la sconfisse in poco tempo. Quella breve guerra combattuta per il controllo di zone dell'Himalaya ha lasciato in eredità un contenzioso sul confine tra i due paesi, lungo 3.500 km che spaziano dal Kashmir a ovest fino alla Birmania a est. In tempi molto più recenti, i test nucleari indiani del maggio 1998 crearono una forte tensione quando Nuova Delhi fece sapere esplicitamente che il suo rafforzamento atomico non era diretto solo contro il Pakistan ma anche contro una minaccia cinese. Nella lista dei dispetti incrociati figurano l'amicizia tra Cina e Pakistan, e il sostegno indiano al Dalai Lama, il leader religioso tibetano in esilio.
Ieri a Nuova Delhi, Singh e Wen hanno voltato pagina: i due premier hanno firmato un accordo su una "roadmap" che traccia il metodo per risolvere il contenzioso territoriale. Un segno forte di amicizia è stato l'annuncio da parte di Wen che la Cina sosterrà la candidatura indiana per un seggio permanente al Consiglio di sicurezza Onu (anche in chiave anti-giapponese). Un gesto che ha una portata economica concreta ma anche un significato politico: è l'avvio da parte cinese dei lavori per ricostruire la celebre "Stilwell Road" che dalla città di Kunming (Yunnan) arriva al confine indiano passando dalla Birmania. È una strada importante per migliorare le infrastrutture che collegano i due paesi. Ha una valenza politica particolare, perché fu fatta costruire dal generale americano Jospeh Stilwell nel 1942 per collegare le forze alleate impegnate su due fronti contro i giapponesi; cadde in rovina via via che le relazioni fra India e Cina si deterioravano.
Oggi Pechino e Nuova Delhi continuano ad avere alcune divergenze. La più importante riguarda il rapporto con gli Stati Uniti, che si "curano" l'alleato indiano proprio per contenere un'influenza cinese in espansione in tutta l'Asia. Ma su terreni chiave come i negoziati commerciali in seno al Wto, India e Cina hanno formato un'alleanza insieme con Brasile e Messico, che ha sconfitto più volte gli interessi americani ed europei. E in quest'area del mondo non è sfuggito a nessuno il parallelo tra la recente tournée asiatica di Condoleezza Rice, e questo viaggio di Wen Jiabao che è andato a visitare le aree dello tsunami, poi Bangladesh, Pakistan e India. In Pakistan i cinesi stanno costruendo un grande porto (Gwadar) che consente alla loro flotta - oggi mercantile, domani forse militare - di affacciarsi sullo stretto di Hormuz, da dove transita il 40% del petrolio mondiale.
Il culmine di questa tournée asiatica di Wen resta Bangalore. In una sola città, il premier cinese ha potuto visitare le sedi di Infosys e Tata Services, due multinazionali indiane che sono ormai dei colossi mondiali del software, e a poca distanza le filiali indiane di Huawei e Haier, due grandi industrie cinesi delle telecomunicazioni e dell'elettronica di consumo. È un riassunto di quel miracolo asiatico che ha portato Cina e India a dimezzare in vent'anni la popolazione mondiale che vive sotto la soglia della povertà. Proprio il weekend scorso è partita per sempre dal porto cinese di Shiwan l'ultima nave Blue Dream che trasportava gli aiuti alimentari del programma Onu: da ora la Cina è uscita a tutti gli effetti dal mondo dei poveri. Secondo il rapporto "Mapping the Future" della Cia entro vent'anni la Cina sarà la seconda economia mondiale a ridosso degli Stati Uniti. Al terzo posto, sempre per l'intelligence americana, sarà già salita l'India.