Alcatraz.it 9.4.05
FREUD HA MANIPOLATO I CASI FONDANTI DELLA PSICANALISI
Durante la sua intera carriera Freud ha descritto dettagliatamente soltanto sei casi di suoi pazienti e queste descrizioni sembrano essere state tutte rimaneggiate, rivedute e abbellite per dare maggiore lustro alla sua carriera. Nel secolo o più trascorso da allora, gli studiosi hanno dissotterrato documenti - quali lettere e appunti sui casi dell'epoca - che dimostrano l'insuccesso di Freud nell'aiutare significativamente i suoi pazienti e smentiscono le guarigioni incredibili da lui vantate. Partiamo dal proto-caso, "Anna O". Sebbene non fosse una paziente di Freud, i suoi studenti se ne occuparono perché Anna era in cura dal suo mentore, Josef Breuer, e la descrizione del caso fu successivamente redatta da Freud (sebbene sia stata firmata da entrambi). E' il caso su cui si fonda la psicoterapia e che dovrebbe convalidare l'ipnosi, l'effetto terapeutico del colloquio, la repressione, il desiderio edipico e altri pilastri di questo approccio. La versione ufficiale era che Anna soffriva di una profonda nevrosi e che Breuer la liberò completamente dalla sua "isteria" con l'ipnosi. In realtà, un mese dopo la conclusione della terapia Breuer la fece ricoverare in manicomio, dove sarebbe tornata altre tre volte nei successivi cinque anni. Breuer la considerava un caso disperato; in una lettera alla fidanzata, Freud così riferiva ciò che il suo mentore pensava di Anna: "Breuer non fa che parlare di lei, dice che vorrebbe che la poveretta morisse perché solo così potrebbe liberarsi delle sue sofferenze. Dice che non si rimetterà mai, che e' completamente sconvolta" (ma si da' il caso che si sbagliasse, perché Anna invece guarì alla fine degli anni '80 dell'Ottocento, circa sei o sette anni dopo la conclusione della terapia). Breuer e Freud non solo non rivelarono al pubblico questi fatti, ma anni dopo Freud volle a tutti i costi rielaborare il caso per adattarlo alla psicanalisi, presentando questo fallimento come uno straordinario successo e attribuendo l'inesistente trionfo ad approcci e teorie che all'epoca neppure esistevano. Lo stesso Albrecht Hirschmuller: neurologo, psichiatra, psicoterapeuta-analista e storico della medicina all'Università' di Tubinga nel suo libro su Breuer - "Physiologie und Psychoanalyse in Leben und Werk Josef Breuers" (Fisiologia e Psicanalisi nella vita e nell'opera di Josef Breuer, 1978) afferma, che il caso di Anna O., al secolo Bertha Pappenheim - e' stato deliberatamente alterato e falsificato da Breuer e da Freud. Ora consideriamo i sei pazienti descritti da Freud e i cui pseudonimi sono nomi familiari agli studenti di psicologia. Il primo caso che Freud presentò pubblicamente come una terapia - sebbene fosse lungi dall'essere il suo primo caso - fu quello di "Rattenmann" (l'Uomo dei Ratti). Costui temeva in modo ossessivo che qualcosa potesse accadere al padre o alla sua ragazza; questi pensieri morbosi avevano avuto inizio dopo che aveva sentito parlare di una terribile forma di tortura che comportava l'uso di ratti. La conclusione di Freud? L'Uomo dei Ratti reprimeva il proprio desiderio di avere rapporti sessuali con il padre e la futura sposa perché - e questa era una supposizione non confermata - il padre lo aveva punito severamente da piccolo perché si masturbava. Nella sua descrizione del caso, Sigmund sosteneva di aver curato l'Uomo dei Ratti per quasi un anno, ma dai suoi appunti sappiamo che la terapia durò in realtà sei mesi. Sebbene il paziente avesse interrotto la cura, Freud si vantò di averlo perfettamente guarito con "il completo recupero della personalita' del paziente". Però, subito dopo averne descritto il caso, Freud confidò a Jung in una lettera che l'Uomo dei Ratti era ancora confuso. Il "Piccolo Hans", di cinque anni, iniziò improvvisamente ad avere il terrore dei cavalli. Sebbene sia inserito nella scarna mezza dozzina di casi di Freud, Hans fu in realtà curato dal padre, suo discepolo. Sigmund seguì il caso da lontano, vedendo Hans una sola volta. Il ragazzino era sicuro che la sua fobia dei cavalli fosse dovuta al trauma subito vedendone uno cadere per strada, ma il padre e Freud non volevano sentire simili stupidaggini. Per loro era ovvio che i cavalli dal grosso pene rappresentassero la figura minacciosa del padre, che Hans credeva volesse castrarlo. Il ragazzino, a sua volta, avrebbe voluto fare l'amore con la madre e uccidere la sorellina. Sottoposto a domande incalzanti sul suo presunto desiderio nei confronti della mamma, Hans negò ripetutamente, ma il papà seguitò a intimidirlo e, naturalmente, alla fine il piccolo crollò e gli disse quello che voleva sentire. "Successo!", gridarono i terapisti. In effetti, Hans perse a poco a poco la paura dei cavalli durante la cura, ma nessuno e' stato in grado di produrre la minima prova che ciò fosse dovuto a quella invadente terapia e non semplicemente al fatto che il bambino si fosse gradualmente ripreso dallo spavento. Due dei principali casi clinici di Freud quasi non meritano di essere menzionati. A proposito della terapia a cui Sigmund aveva sottoposto un'anonima lesbica diciottenne, il cognitivista del MIT Frank Sulloway - autore di "Freud: biologo della mente" (Feltrinelli, Milano 1982) - scrive che "si concluse dopo poco tempo e non comportò alcun miglioramento terapeutico ne' una vera e propria cura". Nell'altro caso, Freud diagnosticò una psicosi a un uomo che non aveva mai incontrato, rigorosamente in base alle memorie da lui pubblicate. Se le sue conclusioni fossero corrette o meno e' impossibile dirlo, ma sappiamo che per arrivarci Freud ignorò le parti di quelle memorie che contraddicevano la sua diagnosi e raffigurò di proposito il padre dell'uomo in maniera falsa (nella descrizione del caso Freud lo lodava come un "ottimo padre", ammettendo però simultaneamente che era un "despota" in una lettera a un allievo). "Dora" era una diciassettenne (e non diciottenne, come sosteneva Freud) depressa e "isterica", recatasi con riluttanza da Sigmund a causa di problemi con amici di famiglia, il signore e la signora K., che la scombussolavano perché 1) il sig. K. le aveva fatto delle avances quando aveva tredici e sedici anni e 2) credeva, giustamente, che il padre e la sig.ra K. se l'intendessero. Il bravo dottore intuì subito come stavano le cose: non soltanto Dora era innamorata del sig. K., ma voleva congiungersi con il padre e anche con la signora K. Non c'e' da meravigliarsi che Dora abbia improvvisamente smesso di recarsi da Freud dopo undici settimane. Era ancora piena di problemi quando morì. L'ossessivo "Wolfsmann" (l'Uomo dei Lupi) e' il caso più noto di Freud. E l'unico in grado di raccontare la sua esperienza personale sulla terapia analitica. L'intera faccenda e' imperniata su un sogno che il paziente aveva fatto da bambino: aveva visto dei lupi bianchi in cima a un albero di fronte alla finestra della sua camera da letto e si era svegliato terrorizzato. Da questo, Freud aveva dedotto che il bianco dei lupi rappresentava la biancheria intima dei genitori e che il bambino doveva averli visti mentre facevano sesso. Freud curò per quattro anni questo paziente, che alla fine fu congedato perché completamente guarito. Decenni dopo, un reporter austriaco lo andò a cercare per scoprire come stava dopo quelle leggendarie sedute dallo psicanalista. L'Uomo dei Lupi definì l'interpretazione del sogno data da Freud "terribilmente inverosimile"; lo scenario voyeuristico, che lui non ricordava affatto, era "improbabile" e la convinzione universale che fosse stato guarito era "falsa". Si da' il caso che abbia continuato a frequentare una schiera di terapisti per il resto della sua vita. L'industria della psicanalisi ha cercato attivamente di nascondere il miserabile fallimento del più grande "successo" di Freud esercitando pressioni sull'Uomo dei Lupi e pagandolo perché rimanesse a Vienna anziché recarsi negli Usa, come voleva fare, perché la sua condizione di pezzo di storia vivente avrebbe richiamato l'attenzione e la verità sarebbe saltata fuori. Rimase un fascio di nevrosi e ossessioni fino alla morte. Come scrive l'eminente accademico Frederick Crews, che ha smontato il mito di Freud: "Freud non fu in grado di documentare una sola terapia efficace al di là di ogni dubbio".
La Redazione: Simone Canova, Jacopo Fo, Gabriella Canova, Maria Cristina Dalbosco