martedì 12 aprile 2005

un caso
madri e figlie

Corriere della Sera 12.4.05
Ha scoperto la gravidanza al quinto mese, il feto ha malformazioni: riconosciuti i «gravi rischi psico-fisici»
Minorenne vuole abortire, la scelta ai medici
Milano, la madre della ragazza si oppone. Il pm: se è urgente l’ospedale può intervenire subito

MILANO - La telefonata disperata di una diciassettenne in lacrime ha posto la Procura di fronte a un dilemma morale e giuridico: entro che limiti una madre fermamente contraria all’aborto può vietare alla figlia minorenne di esercitare il diritto, riconosciuto dalla legge, di chiedere l’interruzione volontaria della gravidanza? A quali condizioni il consenso negato dai genitori può essere sostituito dall’autorizzazione dei giudici o degli stessi medici curanti? Queste e altre particolarità del caso hanno spinto ieri i ginecologi della Mangiagalli, la clinica pubblica con il più grande polo di maternità e ostetricia di Milano, a investire della questione i magistrati della Procura. La pm di turno (una donna) ha girato l’interrogativo ai più esperti colleghi del «pool famiglia», che hanno rinviato la decisione agli stessi medici: saranno quindi i ginecologi della Mangiagalli a stabilire, probabilmente oggi stesso, se (e quando) la diciassettenne potrà abortire nonostante l’opposizione della madre.
L’intervento della Procura è stato sollecitato ieri pomeriggio con una serie di telefonate drammatiche. Prima una ginecologa della Mangiagalli e poi la stessa minorenne, che «continuava a piangere», hanno descritto alla pm una situazione che almeno a Milano ha pochi precedenti. La diciassettenne ha scoperto tardi di essere rimasta incinta ed è ormai al quinto mese di gravidanza. I test sanitari confermano che il feto ha «malformazioni gravissime». Dato che la ragazza ha meno di 18 anni, la sua richiesta di interruzione della gravidanza dovrebbe essere sostenuta dall’«assenso di chi esercita la potestà», che in questo caso è soltanto la madre. La signora però si è dichiarata assolutamente contraria a qualsiasi ipotesi di aborto, anche se «terapeutico» come nella situazione accertata dai medici. La madre è tanto contraria che non ha nemmeno accompagnato la figlia in ospedale, dove la minorenne è arrivata da sola, con i mezzi pubblici, «in uno stato di vera disperazione».
La disciplina dell’interruzione volontaria della gravidanza, sancita dalla storica legge 194 del 1978, prevede espressamente il caso di un possibile contrasto tra la volontà dei genitori e quella di una figlia minorenne. La regola generale è che il verdetto finale spetta a un giudice tutelare, cioè a un apposito magistrato del tribunale civile, che decide «sentita la donna e tenuto conto della sua volontà», oltre che in base alla «relazione» tecnica trasmessa dai medici. Questa procedura ordinaria, però, dura almeno 12 giorni: 7 per l’istruttoria sanitaria, 5 per la decisione del giudice. Di qui l’interrogativo dei medici della Mangiagalli: se la situazione della minorenne è disperata, come in questo caso, è possibile accelerare i tempi? E chi può autorizzare l’aborto dopo il quinto mese se la madre è contraria?
La pm interpellata non si era mai sentita porre un quesito del genere e ha quindi chiesto consiglio ai magistrati specializzati del «pool famiglia». Questi hanno risposto che la stessa legge 194 regola già questa ipotesi: il terzo comma dell’articolo 12 prescrive infatti che l’aborto può essere eseguito «indipendentemente dall’assenso di chi esercita la potestà e senza adire il giudice tutelare», cioè nonostante l’opposizione della madre e senza dover aspettare l’autorizzazione del tribunale, «qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di anni 18». Dunque sono gli stessi ginecologi a dover «certificare» che si tratta di un’emergenza, oltre ad «accertare» (come per tutte le interruzioni oltre il quinto mese) l’esistenza di «processi patologici», tra cui la legge inserisce proprio le «rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro», che «determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».
La legge sulla privacy impedisce alle fonti mediche e giudiziarie non solo di rendere riconoscibile la minorenne, ma anche fornire dettagli clinici. L’unica certezza è che il feto è «gravemente malformato» e che le prime visite mediche hanno già verificato il «grave pericolo per la salute psico-fisica» della diciassettenne. La sua situazione familiare, inoltre, non sarebbe delle migliori: la ragazzina avrebbe informato la madre della gravidanza solo quando era diventato impossibile nasconderla. E soltanto negli ultimi giorni avrebbe saputo delle malformazioni: una scoperta che ha avuto «devastanti conseguenze psicologiche» sulla minorenne, aggravate dal no della madre anti-abortista. L’unica ad aiutarla, in famiglia, è la sorella maggiore, che si è dichiarata favorevole all’interruzione della gravidanza, ma il suo parere non conta. Ora tocca ai medici decidere se intervenire «d’urgenza» o se chiedere al giudice il consenso negato dalla madre.