mercoledì 6 aprile 2005

storia
«la Liberazione partì da Napoli»

Il Mattino 5.4.05
La Liberazione partì da Napoli
Pubblichiamo le pagine di «La Resistenza spiegata a mia figlia» relative alla guerra a Napoli.
Alberto Cavaglion

Il primo ottobre 1943 anche Napoli con il suo porto prezioso era stata liberata dai suoi stessi abitanti. Quando attraversano le strade, gli Alleati trovano una città insorta. Più correttamente, dato che non vi era stato un piano predefinito, si può dire che contemplino il risultato di un moto spontaneo di rivolta o, come si deve sempre dire quando si parla di Napoli, di un «fenomeno della natura», dovuto principalmente al malessere prodotto dalla guerra, alla diffusa miseria, alla rabbia contro le angherie. Una rivolta che coglie alla sprovvista innanzitutto i tedeschi nel momento in cui esplode: la notte fra il 27 e il 28 settembre. Il 30 settembre alle 5 del mattino, l’intero comando tedesco inizia a retrocedere spostandosi a nord di una città che si era liberata da sola. Quel che accade a Napoli non è molto diverso da quanto av- viene nel resto della penisola: nel quartier generale del Parker ’s Hotel il colonnello Sholl, esasperato dai continui scontri in cui sono coinvolti i suoi soldati, pianifica di fare «terra bruciata» (saccheggio del materiale bellico, smantellamento delle infrastrutture, rastrellamento dei giovani in età di leva). Nel lungo mese di settembre, nel periodo che precede sia la liberazione della città, sia la costituzione di una qualche amministrazione italiana «alleata» ai tedeschi, Napoli si trasforma in un teatro di crudeli efferatezze. Presso l’alto comando di Kesselring, i tedeschi in Italia non mancheranno di istituire un reparto, chiamato Kunstschutz, con il compito di tutelare il patrimonio culturale nella zona occupata; questo reparto sarà operativo solo a partire da novembre 1943. Come s’è detto, a Firenze i tedeschi fanno saltare tutti i ponti, ma si fermano davanti al Ponte Vecchio. Durante le prime settimane manca invece ogni direttiva, l’occupazione si caratterizza per la totale assenza di apparati burocratici; a Napoli prevale soprattutto la frustrazione dei comandi delle truppe tedesche. I tedeschi sembrano accanirsi soprattutto contro i tesori archivistici e le opere d’arte; viene deliberatamente incendiata la sede della Società reale, dove erano custoditi archivio e biblioteca delle accademie napoletane, saccheggiato e incendiato l’edificio dell’Università degli studi e il 12 settembre violato anche l’ex monastero di San Severino, sede dell’Archivio in piazzetta Nilo. C’è però un evento che nelle storie della Resistenza non si legge mai e deve invece essere posto a fianco delle stragi di civili, per le irreparabili conseguenze che determina: la distruzione dei fondi più antichi dell’Archivio di Stato di Napoli a opera di guastatori tedeschi. La storia di questo scempio ha risvolti drammatici che meritano di essere riportati in primo piano. Pochi anni prima della Seconda guerra mondiale, i lavori di restauro e di adattamento dell’enorme fabbrica del monastero dei Santi Severino e Sossio, dove l’Archivio di Stato ha sede dal 1845, sono terminati con piena soddisfazione di chi lo dirige, Riccardo Filangieri. A fronte di una temuta e ormai vicina guerra aerea, sono predisposti piani di sgombro, l’Ufficio centrale degli archivi del Regno chiede a Filangieri di attuare un invio precauzionale della documentazione più antica in un sito isolato, fuori città. A questo Filangieri si oppone, sottolineando le oggettive difficoltà di un trasporto con tutti i pericoli cui vanno soggette le scritture antiche. A tal proposito si fa un contro-progetto, individuando nei locali sotterranei del monastero e del contiguo Teatro di San Severino la sede adatta dove nascondere le carte. Questo progetto viene prima osteggiato, poi parzialmente accolto. Alcune parti dell’archivio vengono così spostate, ma il precipitare degli eventi bellici induce a scelte affrettate. Il 5 agosto brucia la chiesa di Santa Chiara, con il tesoro della dinastia angioina e i suoi monumenti; si diffonde la notizia che su Genova siano cadute bombe da due tonnellate ciascuna. Filangieri teme la precarietà del suo ricovero. Prende accordi per affittare Villa Montesano,in aperta campagna,presso San Paolo Belsito,a una trentina di chilometri da Napoli. Scortati dai Regi Carabinieri, gli automezzi necessari si mettono finalmente in movimento. Il trasferimento più prezioso – quello contenente i registri della cancelleria angioina – giunge nel nuovo ricovero. Tutto viene provvisoriamente inventariato, collocato in casse di legno, segnate con un numero progressivo. In tutto 200.000 unità archivistiche, 54.732 pergamene: i fondi più importanti, la cancelleria aragonese, le carte farnesiane, i manoscritti miniati, gli atti dei processi celebri, le carte di Garibaldi, gli atti del Plebiscito, i cimeli più illustri, le pergamene angioine. Il 30 settembre 1943 alle ore 9.30 del mattino, le truppe tedesche si avvicinano. È una pattuglia di predatori in cerca di generi alimentari da requisire. Sono le ultime ore che precedono la ritirata tedesca da Napoli. Il deposito viene ispezionato da un ufficiale che conosce l’italiano, al quale sono mostrati alcuni cimeli. Con paglia e polvere tre guastatori appiccano il fuoco impedendo con le armi ai custodi dell’archivio di domare le fiamme. In pochi istanti va perduta la documentazione più antica dell’archivio napoletano e di tutto il mezzogiorno d’Italia: «Sono caduto in una tristezza mortale», annota Croce nel suo diario, «per l ’orrenda notizia che i tedeschi hanno incendiato, inondandolo di benzina,il castello di San Paolo Belsito (...) tutte carte sulle quali ho lavorato in passato anch’io e dalle quali ho tratto alcuni miei libri: tutti i documenti della storia del Regno di Napoli». Una tragedia «senza rimedio», scrive: «Non c’è vendetta che possa soddisfare». Non sono andate perdute mere cose materiali, ma «strumenti di vita spirituale», davanti alla cui distruzione si provano «dolori e ansie non diverse da quelle dell’avaro per le accumulate ricchezze». Dei custodi che cercano di salvare alcune di quelle carte non sappiamo nulla, nemmeno il nome. Si può dire invece che la Resistenza nasca con loro. Alla domanda «quando nasce la Resistenza in Italia?» è relativamente facile rispondere. Una buona risposta può essere la seguente: con il gesto anonimo dei custodi del deposito di San Paolo Belsito.