domenica 13 marzo 2005

brevi dal web

nutrimenti.net
newsletter dell'11 marzo 2005

Martedì 15 marzo, ore 18,
libreria Melbookstore di Roma (via Nazionale, 254-255)

"Informare in tempo di guerra: gli inviati nei luoghi di combattimento,
il caso Giuliana Sgrena":
Mimosa Martini presenta Kashmir Palace.

Intervengono:
Tiziana Ferrario, giornalista Tg1,
Giuseppe Giulietti, presidente dell'associazione Articolo21,
Silvia Garambois, segretario dell'Associazione Stampa Romana.
Nel corso del dibattito Luana De Vita,
l'autrice di Mio padre è un chicco di grano,
presenterà una ricerca sulla sindrome da stress postraumatico
negli inviati di guerra e nei giornalisti italiani.


yahoo!salute venerdì 11 marzo 2005,

Il 10% europei immune all'HIV? Merito del Medioevo
Il Pensiero Scientifico Editore

Le epidemie del Medioevo hanno reso il 10 per cento dei cittadini europei immuni dall’infezione da HIV: lo svela uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Medical Genetics. Un team di ricercatori dell’University of Liverpool’s School of Biological Sciences ha scoperto che la mutazione genetica nota come CCR5-?32, che impedisce al virus HIV di entrare nelle cellule del sistema immunitario è un’eredità delle epidemie che flagellavano l’Europa di un millennio fa.
Gli scienziati sanno da molti anni che gli individui con la mutazione CCR5-?32 hanno una naturale resistenza all’infezione da HIV che li rende sostanzialmente immuni all’AIDS, ma non erano ancora riusciti a spiegare la maggiore diffusione della mutazione nelle regioni scandinave e la sua scarsa diffusione nelle regioni del Mediterraneo.
Christopher Duncan e Susan Scott, autori dello studio, attribuiscono la frequenza della mutazione CCR5-?32 in certe zone europee al suo ruolo protettivo nei confronti delle epidemie dell’antichità. “Il fatto che la presenza di CCR5-?32 sia una realtà europea fa ritenere che le epidemie medievali hanno giocato un ruolo decisivo nell’alzare la frequenza della mutazione, dato che si trattava di malattie con quasi il 100 per cento della mortalità”, spiega Duncan.
Duncan e Scott ritengono che le epidemie tra il 1347 ed il 1660 non sono state di Peste bubbonica (una patologia batterica che non viene bloccata dalla mutazione CCR5-?32), ma di una febbre emorragica letale e virale che usava per entrare nelle cellule umane il CCR5. Utilizzando tecniche di progettazione computerizzata, gli scienziati hanno dimostrato che l’epidemia ha creato una pressione selettiva che ha portato la frequenza della mutazione da 1 su 20.000 all’1 su 10 attuale.
“Le epidemie emorragiche non sono scomparese dopo la Peste di Londra del 1665-1666 ma sono continuate in Svezia, Danimarca, Russia, Polonia e Ungheria fino al 1800. Questa presenza delle febbri emorragiche ha continuato la sua pressione selettiva in quelle zone, che ora sono quelle dove la mutazione CCR5-?32 è più diffusa”, conclude Duncan.

Fonte: Duncan SR, Scott S, Duncan CJ. Reappraisal of the historical selective pressures for the CCR5-?32mutation. J Med Genet 2005; 42: 205-208.

bur.it
Hai il cervello, usalo!
Una mostra che svela i segreti della mente umana e un incontro sulle illusioni ottiche e su altri fenomeni legati alla visione dei colori.
Sono le iniziative aperte al pubblico in occasione della "Settimana Nazionale del Cervello". In pochi sanno cosa pensa un tassista che cerca il tragitto più veloce per il suo cliente o in quanti modi uno schizofrenico dipinge un gatto nei diversi stadi della sua malattia o quali "corde" si attivano nella mente di un musicista durante l'esecuzione.
Dal 14 al 18 marzo nella sede di Via Dunant, una mostra illustrata risponderà a queste e ad altre curiosità offrendo a tutti l'occasione per un viaggio a colori nel cervello alla scoperta dei suoi meccanismi di funzionamento, anche di quelli più curiosi.
La mostra, promossa dal Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale e dal Centro di Neuroscienze dell'Università dell'Insubria, è composta da 30 coloratissimi pannelli preparati dal Cend (Centro di Eccellenza in Neuroscienze) dell'Università di Milano. "Arriva a Varese - afferma Antonio Peres, direttore del DBSF - una mostra itinerante che ha raccolto grande successo di pubblico e tra le scuole. È la prima volta che il nostro Dipartimento organizza una iniziativa del genere e speriamo sia l'inizio di un ciclo di attività aperte al pubblico. Temi quali i disturbi alimentari, la depressione, ma anche il circuito nervoso del piacere, infatti, interessano e incuriosiscono tutti e questa è un'occasione per conoscerli meglio in modo semplice e accattivante." "Siamo a disposizione delle scolaresche - conclude Peres - che possono prenotare visite guidate. Anche con loro speriamo che abbiano inizio proficue collaborazioni didattiche".
"A Busto Arsizio - informa Daniela Parolaro, Direttore del Centro di Neuroscienze - abbiamo già avuto delle esperienze nelle scuole con incontri dedicati alle neuroscienze e ad altre discipline biomediche. Ricordo anche la convenzione con gli istituti superiori Tosi e Crespi: apriamo i nostri laboratori per visite guidate e accogliamo i ragazzi del IV anno per stage estivi di 2 settimane.
Questa mostra, spiegando in modo leggero argomenti importanti, contribuisce a creare attenzione intorno alle discipline biomediche e alla ricerca di base. Quest'ultima, in particolare, risulta essenziale per il loro sviluppo ed è fondamentale nella nostra attività scientifica."
A questo appuntamento, che si inserisce nel ricco carnet di eventi previsti nell'ambito della Settimana Nazionale della Cultura Scientifica e della Settimana del Cervello, si aggiunge un incontro in programma mercoledì 16 marzo alle 16.00, sulla visione dei colori.
Il professor Marco Piccolino dell'Università di Ferrara guiderà gli intervenuti alla scoperta dei meccanismi che producono la visione dei colori, effettuerà dimostrazioni di effetti visivi e illusioni ottiche e descriverà le teorie che, nel corso dei secoli, hanno tentato di spiegare questi fenomeni: un appuntamento da non perdere per godere la bellezza della scienza con il fascino dei suoi esperimenti e della sua storia.
"Siamo impegnati a costruire una università sempre più vicina al territorio e capace di proporre opportunità formative e culturali adatte anche a un pubblico di non addetti ai lavori - conclude Antonio Peres - L'attenzione e la partecipazione a queste iniziative non potrà che rafforzare il nostro impegno"

BUR.IT 14.03.05

kataweb.it
11 marzo 2005
Un bambino timido sarà un adulto ansioso?
Stefano Pallanti
allievo di Cassano, psichiatra a Firenze


Normalmente si parla di timidezza, di cui l’arrossire rappresenta il segnale più comune tra i bambini; ma oggi si parla anche di “Disturbo d’ansia sociale”, cioè di una vera e propria interferenza allo sviluppo della capacità di comunicare con gli altri. Spesso questa difficoltà si presenta molto precocemente ed anticipa altri problemi o disturbi: tra i più frequenti, l’abuso di sostanze (a scopo di autotrattamento delle proprie difficoltà) o disturbi dell’umore.
Ma come l’Ansia sociale si distingue dalla timidezza?
L’ansia sociale, si è visto, è un vero disturbo della competenza alla comunicazione interpersonale.
Un recente studio dimostra come i bambini con ansia sociale hanno maggiore difficoltà ad interpretare correttamente le espressioni di rabbia e ostilità dei loro coetanei.
Lo studio è stato condotto coinvolgendo scolari d’età compresa tra i 7 e 9 anni: i bambini sono stati valutati prima dai loro insegnanti attraverso strumenti scientifici per la misurazione del livello d’ansia sociale; in una seconda fase dello studio sono stati valutati da un’équipe di psicologi che ha quantificato con altri parametri il grado d’inibizione. Come ultima fase è stato chiesto ai bimbi di identificare le espressioni di loro coetanei rappresentate in una serie di foto. I risultati hanno dimostrato come non solo le valutazioni degli insegnanti fossero corrispondenti a quelle degli psicologi, conclusioni secondo le quali i bambini più timidi erano anche i più inibiti, ma soprattutto che maggiore era la timidezza dei bambini e più alto era il numero degli errori commessi nell’interpretare correttamente l’espressione delle foto dei coetanei che esprimevano emozioni come rabbia, gioia, paura, etc. Gli errori più comuni fra i bambini ultra timidi non erano casuali, ma erano legati ad espressioni di ostilità come rabbia e disgusto.
La domanda che si fanno gli esperti alla luce di questo studio è la seguente: bambini timidi diventeranno degli adulti ansiosi? La teoria tradizionale relativa al disturbo d’ansia sociale era quella secondo la quale il mondo interiore delle persone afflitte da questo tipo di disturbo dipendesse da aspettative negative rispetto al giudizio degli altri. Il risultato di questo studio suggerisce come possa esistere una difficoltà nell’elaborazione dell’informazione interpersonale che si evidenza presto nella vita dei soggetti eccessivamente timidi.
Restano molte cose da chiarire: la prima consiste nell’identificazione dei processi cerebrali precoci che si verificano nel momento in cui un bambino guarda l’espressione di un coetaneo, per cercare cosa differenzi i bambini più timidi a livello sia neurofunzionale sia genetico. La seconda è quantificare quanto e come i bimbi maggiormente ansiosi utilizzino porzioni d informazione visiva per arrivare ad identificare un’espressione del volto con rilevanza sociale.
Quali sono i segnali di questo disturbo nei bambini? Il bambino si rifiuta sistematicamente di stare con gli altri, partecipare alle feste, farsi interrogare a scuola. Cosa dovrebbero fare i genitori? Secondo gli esperti il disturbo d’ansia sociale può essere normalmente curato, ma se viene sottovalutato rischia di portare a gravi forme di depressione e a disturbi psichici con il passare degli anni.
Un’altra espressione che l’ansia sociale può assumere è quella della fobia per la scuola e ha di norma due picchi nel corso dello sviluppo: il primo intorno ai 5-7 anni e un secondo che si manifesta tra i 9 e i 14 anni.
Lo sviluppo graduale durante la tarda infanzia o la prima adolescenza può essere compreso in un’ipotesi “a circolo vizioso”. Il soggetto predisposto teme un giudizio negativo e perciò cerca di evitare determinate situazioni sociali. Di conseguenza, le normali esperienze di apprendimento sociale sono molto limitate e non avviene un adeguato rinforzo sociale. Il soggetto non sviluppa delle abilità sociali adeguate, la fiducia in se stesso si intacca progressivamente con la conseguenza in un ulteriore incremento della sua paura del giudizio.
Relativamente alla sintomatologia il DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IV edizione) individua come sintomi:
- una marcata e persistente paura di una o più situazioni sociali nelle quali il soggetto è esposto a persone non familiari o al possibile giudizio di altri: nei bambini deve essere evidente la capacità di stabilire rapporti sociali appropriati all’età con persone familiari e l’ansia deve manifestarsi con i coetanei e non solo con l’interazione con gli adulti;
- l’esposizione alla situazione temuta quasi invariabilmente provoca ansia: nei bambini questa può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con irrigidimento o con l’evitamento delle situazioni sociali con persone non familiari; l’evitamento e/o il disagio delle situazioni sociali o prestazionali interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento scolastico per i bambini o con le attività o relazioni sociali.
I criteri diagnostici nei bambini sono simili a quelli degli adulti. Generalmente però i bimbi non presentano i classici pensieri negativi, tipici degli adulti, e pertanto manifestano l’ansia attraverso il pianto, l’immobilità, i capricci o il ritiro di fronte agli estranei. Per fare una corretta diagnosi, l’ansia deve essere presente anche nelle relazioni con i coetanei e non solo con gli adulti, dal momento che molti bambini diventano timidi e si inibiscono di fronte agli adulti.
Una questione molto importante è la differenziazione tra la mancanza di sicurezza sociale che caratteristica la timidezza e l’evitamento tipico dell’ansia sociale. Le persone schive o timide possono temere una valutazione negativa ma sono anche in grado di cogliere i consensi e in genere hanno un buon funzionamento domestico e professionale. Al contrario, nei pazienti con ansia sociale i pensieri negativi e i sintomi d’ansia sono molto più strutturati e tale condizione è fonte sia di sofferenza che di inabilità. I sintomi somatici dell’ansia, come ad esempio la sudorazione, il rossore e il tremore, sono molto più frequenti nell’ansia sociale. La timidezza può considerarsi parte dello spettro della varietà umana, mentre l’ansia sociale è una condizione patologica che può trarre beneficio dall’intervento terapeutico.
Essendo il disturbo d’ansia sociale un disturbo della comunicazione interpersonale, soprattutto nei bambini uno dei migliori rimedi è costituito dall’intervento psicoterapeutico. La psicoterapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata generalmente efficace nel trattare questo tipo di disturbo. Per i bambini questo intervento assume le caratteristiche di una specie di gioco di gruppo in cui le situazioni proposte incoraggiano e istruiscono alla comunicazione interpersonale.
Questo tipo di psicoterapia è centrata sul “qui ed ora”, su trattamento diretto del sintomo e punta da un alto a modificare i pensieri disfunzionali e dall’altro a offrire al soggetto migliori capacità ed abilità nell’affrontare le situazioni temute. La terapia cognitivo comportamentale relativa al disturbo d’ansia sociale può essere condotta ottimamente anche in sedute di gruppo e ciò presenta un notevole vantaggio dal fatto, ovvio, di essere questa una situazione sociale.

ilgiornaledivicenza.it 11 marzo 2005
In quaranta giorni 6 casi di suicidio
Difficoltà nel lavoro e solitudine origine del "male di vivere"
di Elisa Morici

Mezza dozzina di morti tra Schio e limitrofi è un numero su cui difficilmente ci si ferma a ragionare. Pochi volti impressi sulle foto dei necrologi, mischiati a decine di altri; nomi di sconosciuti che la gente legge distratta in una città dove in media muore una persona al giorno. Ma se in una quarantina di giorni, tra la fine di gennaio e primi di marzo, quella mezza dozzina si riferisce a casi di suicidio, l'asettica e in apparenza irrisoria cifra, cui vanno aggiunti altri due casi di tentato suicidio, si presta a qualche riflessione in più.
Disturbi mentali? Solitudine? Difficoltà a gestire situazioni familiari o lavorative ingarbugliate? Per chi guarda da fuori un’ipotesi vale l’altra, nessuna probabilmente in grado di chiarire come sia possibile che un essere umano arrivi ad un tale punto di disperazione da decidere di metter fine alla sua vita. E nel periodo di tempo preso in considerazione gli episodi non si riferiscono a giovanissimi, indicati da più parti come una delle categorie più a rischio, ma a persone adulte che, spesso a torto, ci si illude abbiano raggiunto un equilibrio tale da resistere anche nelle peggiori tempeste.
«Nell’area considerata, cinque o sei casi in poco più di un mese non sono effettivamente una cifra tanto trascurabile - riflette lo piscologo Lino Cavedon -, tra l’altro in un periodo non così "a rischio". La casistica ci porta infatti ad osservare che il maggior numero di suicidi si verifica nei mesi estivi, quando il caldo esaspera situazioni che in altri momenti appaiono più gestibili, o in concomitanza delle festività, spina nel fianco per chi soffre di depressione o di solitudine.
«In questo momento, quindi, trovare una spiegazione plausibile non è semplice - continua Cavedon -, tanto più se non capiamo prima chi erano davvero queste persone e con quali problemi stavano facendo i conti. Una considerazione senz’altro da fare riguarda comunque la necessità di fondo di ricomporre un modello economico e sociale che si è frantumato. In molte famiglie si fa strada l’angoscia, la preoccupazione per la precarietà economica, anche se generalizzare sarebbe troppo facile, con il rischio di dare interpretazioni sbagliate di un dato dalle mille sfaccettature che andrebbero analizzate una per una».
Di fronte al suicidio, ancor più se gli episodi sono tanto ravvicinati, si fa poi strada un dubbio che è quasi una certezza: la scala di valori è rovesciata o distrutta, con conseguente mancanza di appigli solidi in caso di profondo disagio.
«È vero, stiamo attraversando un brutto periodo, tra incertezze lavorative mai sperimentate prima - prova a spiegare don Giuseppe Bonato, già vicario foraneo di Schio e ora parroco a Piane -, ma credo che la radice del malessere sia molto più profonda. Abbiamo attese e pretese fin troppo alte, che non trovano il giusto cammino per realizzarsi e portano alla luce la nostra sostanziale incapacità di tenere i piedi per terra e di rapportarci con gli altri, facendosi sentire soli ed estranei. Manca inoltre l’educazione ad accettare il fallimento, visto sempre e comunque come una sconfitta senza appello; come narra invece una parabola evangelica, la pietra scartata può divenire testata angolare così come il fallimento può trasformarsi in risorsa per imboccare strade nuove».