mercoledì 12 gennaio 2005

il tradizionale (tragico ed impotente...) "basaglismo" del manifesto

Il manifesto 11 gennaio 2004
Psichiatria democratica incontra Seattle
Il rapporto con il «movimento dei movimenti» in un volume uscito in occasione dei trent'anni dell'associazione
ANNA SIMONE


Sono passati trent'anni dalla nascita di Psichiatria Democratica e della sua storica rivista «Fogli di informazione» e venticinque anni dalla legge 180. I manicomi non esistono più o forse hanno solo cambiato nome, ma per i «basagliani» resta alto il livello di guardia sull'esclusione sociale e sui diritti negati, resta alta la tensione verso il presente dei Centri di permanenza temporanea per migranti, verso la legge Burani-Procaccini sulla psichiatria e il suo impianto repressivo. Questa tensione, unita a una straordinaria esperienza di teoria della pratica e di pratica della teoria, emerge ora in un volume speciale dei «Fogli di informazione» dal titolo Psichiatria democratica trent'anni (a cura di Paolo Tranchina e Maria Pia Teodori, Centro di documentazione Pistoia, pp. 286, 20; è possibile richiedere il volume direttamente al Centro via mail: giorlima@tin.it). Suddiviso in sezioni e chiuso da una ricchissima bibliografia ragionata per temi, il volume costituisce, da una parte, una sorta di archivio di lotte e di saperi di lotte e, dall'altra, una proiezione verso il presente e il futuro del mondo globale in cui Psichiatria Democratica incontra i saperi del movimento nato a Seattle. Gli interventi, fra gli altri, di Mariella Genchi, Filippo Cantalice, Christian De Vito e Roberto Mezzina, sottolineano infatti, sia pure con sfumature diverse, la tensione positiva verso il «movimento dei movimenti» e verso uno «stile» politico orientato nella direzione dell'apertura permanente alle contraddizioni del presente. Se Genchi e Cantalice affrontano da un lato le pratiche adottabili per contrastare il progetto neoliberale e controriformista globale e dall'altro l'incontro avvenuto con il gruppo no-Cpt dei Social forum (oltre che con gruppi di donne che lavorano da anni contro la tratta e lo sfruttamento delle prostitute straniere), De Vito coglie il nesso tra tutte le istituzioni totali dell'oggi, avendo come prospettiva di riferimento la modalità di lotta del «movimento dei movimenti», mentre Mezzina compie un'analisi del circolo vizioso che si crea tra povertà (deprivazione economica, bassa istruzione, disoccupazione), disturbi mentali e impatto economico (spese sanitarie aumentate, perdita del lavoro, produttività ridotta) a partire dall'attività della Rete Internazionale delle esperienze-guida in salute mentale comunitaria.
Il volume si interroga anche sulla propria storia indiscutibilmente legata al pensiero e alla pratica di Basaglia, a volte guardando al passato, a volte spostandosi verso un'attualizzazione di esso. Gli articoli, fra gli altri, di Slavich, Stock, Serrano e Canosa tracciano un filo diretto tra il primo documento programmatico di Psichiatria Democratica dell'8 ottobre 1973 e i problemi sociali del presente senza mai dimenticare un imperativo categorico: non si può lavorare solo sulle soggettività «malate» se non si analizza e si critica a priori il contesto socio-politico che induce a divenire folli, clandestini, prostitute. E infatti i punti chiave del documento del '73 non vengono traditi dopo trent'anni: continuare la lotta all'esclusione, analizzandone e denunciandone le matrici negli aspetti strutturali (rapporti sociali di produzione) e sovrastrutturali (norme e valori) della nostra società; continuare la lotta al «manicomio»; sottolineare i pericoli del riprodursi dei meccanismi istituzionali escludenti, anche nelle strutture psichiatriche extra-manicomiali di qualunque tipo esse siano. Quest'ultimo passaggio ci introduce verso un'altra tonalità presente nel volume, più complessa perché spostata verso la portata teorica dei trent'anni di Psichiatria Democratica, ma attraverso la quale è possibile toccare i concetti chiave di questo «stile» politico felicemente contraddittorio. L'essere riusciti a chiudere i manicomi non ha evitato il processo di «psichiatrizzazione della società» attraverso tutte le pratiche di controllo messe in atto dalle politiche sicuritarie del presente, ma ha rappresentato una conquista «rivoluzionaria» adottando gli strumenti etici del riformismo radicale. Tale contraddizione di termini tra riformismo e rivoluzione si esplicita nel carteggio, presente nel volume, tra Di Vittorio e Colucci, autori, tra l'altro, della prima monografia su Basaglia edita in Italia. Di Vittorio scrive: «Si può percorrere la strada del riformismo, cioè dell'allargamento progressivo della sfera dei diritti (...) oppure si può percorrere la strada della trasformazione radicale dell'esistente». Basaglia ha adottato la strada del riformismo, tuttavia «al di fuori di un discorso dell'emancipazione, riformistica o antagonistica, non c'è nulla se non l'abisso, la notte del dominio, dello sfruttamento, dell'oppressione, ossia di tutto ciò che continua a opporsi alla liberazione dell'uomo». D'altronde la pratica della de-istituzionalizzazione del sistema manicomiale, così come dimostra l'articolo di Venturini, cosa ha rappresentato se non una piccola rivoluzione «riformista» nella palude del sapere-potere psichiatrico? Inoltre, da parte del movimento basagliano, la riforma attuata dalla legge 180 non ha mai creato desideri di attribuzione di un «potere alternativo» (ma pur sempre coercitivo) rispetto al nuovo ordine costituito e rispetto ad altri stili di lotta: dopo la chiusura del sistema custodialistico dei manicomi il lavoro teorico-pratico si è infatti spostato verso la de-istituzionalizzazione della società e verso l'apertura ai movimenti sociali.
In sintesi, si potrebbe dire che la portata teorico-pratica del volume si può misurare attraverso alcune lenti concettuali e alcune modalità di lotta di indiscutibile importanza: attraversamento delle contraddizioni, teoria della pratica e pratica della teoria, aperture verso gli altri movimenti di contestazione della norma, progettualità sociale e alternativa, riformismo radicale.
Nel celebre articolo Le navi dei folli che, tra l'altro introduce il volume, Franco Basaglia scriveva: «La prima volta che entrai in un carcere, ero studente di medicina e vi entrai come prigioniero dei fascisti. Il carcere mi apparve allora come un letamaio impregnato di un lezzo infernale, dove uomini con bidoni sulle spalle si avvicendavano a vuotarne il contenuto nelle fogne (...). Dopo alcuni anni entrai in un'altra istituzione chiusa, il manicomio. Questa volta non come internato, ma come direttore. Ero dalla parte del carceriere, ma la realtà che vedevo non era diversa: il manicomio è un grande letamaio dove non c'è traccia dell'uomo». Dopo trent'anni vien da dire: avrebbe scritto qualcosa di diverso sui centri di permanenza temporanea per migranti?