mercoledì 12 gennaio 2005

Luciana Littizzetto
sulla coppia che scoppia

L'Unione Sarda 12.1.05
«Non ho invidia del maschio, semmai un po' di nostalgia»
Luciana Littizzetto, la routine uccide la passione Ecco come e perché la coppia scoppia
di Francesco Mannoni


«Questa è la mia terza fatica letteraria, e chiude la trilogia della verdura. Nel primo, Sola come un gambo di sedano si parlava delle single, ne La principessa sul pisello della coppia e adesso della coppia che scoppia». Roteando gli occhi come un'ossessa e proiettandoli da un punto all'altro dell'affollata sala della nuova libreria Mondadori di Bologna, Luciana Littizzetto parla del suo nuovo libro, Col cavolo (Mondadori, pp. 167, euro 14), e sentenzia: «Lo dicono anche gli esperti. Tre anni. L'amore vero dura tre anni. Qualcosa di più di mille giorni. Dopodiché buongiorno e chi si è visto si è visto». Esile, un timbro di voce che ha la potenza del trapano, la Littizzetto ha raccolto in questo libro una galleria di donne svirgolate, dissestate e confuse dai tempi, e le ha messe di fronte alle loro insufficienze, errori e banalità. Con veloci affondi anche per i signori uomini, rei di comportamenti non sempre esemplari nell'ambito della coppia, l'attrice - scrittrice, in racconti brevi e incisivi passa in rassegna un mondo femminile coinvolto in una sorta di sfida perenne con l'uomo, in quel gioco estenuante di confronti che alla fine riduce tutto a rissa babelica perché «si muore dall'ostinato tentativo di avere ragione. Ma la ragione non è mai tutta da una parte. Con il corpo calloso che ci ritroviamo, dovremmo capirlo, no?». Con oltre due milioni di copie vendute dei suoi libri - manuali che veleggiano nelle zone alte della classifica, Luciana Littizzetto può permettersi di dispensare consigli e insegnamenti, conditi sempre dalla sua accesa ironia. «Nel libro parto dalla considerazione che anche i veri amori hanno una data come i cibi precotti e surgelati. Gli studiosi affermano che bisogna fare di tutto per rinverdire il desiderio, però è un bel controsenso. Come si fa a desiderare una cosa che hai sotto gli occhi tutti i giorni? Come fai a desiderare uno che la notte dorme a stella di mare con l'isola di Pasqua deserta e l'alito dello sciacallo? E d'altra parte come fa lui a desiderare una che passa le serate col pigiamone e appena arrivata a casa si toglie il reggiseno e le tette gli arrivano alle caviglie e si mette a ricamare la testa di un cavallo a mezzo punto guardando il suo uomo piangendo? E che per giunta, adesso grida basta! basta! solo quando gli schiaccia il nervo sciatico». Le situazioni che ha descritto nel suo libro sono il risultato della convivenza? «La convivenza porta un po' a lasciarsi andare. All'inizio nelle coppie si fanno molte cose culturali. Lui porta la sua dolce metà al cinema, ai musei, alle mostre e nelle città d'arte, poi man mano tutto si riduce, e alla fine superata la gora dei tre anni, lui ti fa uscire solo la domenica per portarti alla portaerei del mobile, oppure se ti va veramente bene ti porta alla saga del peperone, alla festa del bue grasso, al festival dell'Unità, e da intellettuale si trasforma in verro». Quali i principali comportamenti negativi che affossano la vita di coppia? «Uno è il problema del russaggio. All'inizio lui non russa. Respira come una brezza, ha il respiro di un cherubino. Poi partono i primi spifferi e trombe da stadio che ti sembra di essere nella curva sud di un campo di calcio in giornata di derby. Ed è difficilissimo. Qualcuno dice che per farli smettere bisogna fargli dei versi. Oppure dicono che bisognerebbe mettergli un cerotto sul naso. Il cerotto sul naso andrà bene a Valentino Rossi quando corre, ma al marito o al fidanzato che la sera ha mangiato otto chili di fritto di mare, il cerotto bisognerebbe metterglielo sulla bocca, ma prima che si sieda a tavola. Una prova a chiamarlo dolcemente, lui risponde borbottando perché magari sta sognando l'ultima ballerina di Panariello, sta fermo, non si muove, e lei col piede allora cerca di farlo rimbalzare. Ma è difficile. Consiglio alle donne i cui mariti dormono con la bocca aperta, di mettergli dentro la bocca delle robe. Magari la propria mano, così si sveglia. Allora lo pregate di russare piano eliminando i colpi di basso tuba altrimenti la mattina vi svegliate tutte storte e immusonite come sorcetti». Altri comportamenti che usurano il rapporto di coppia? «Altro problema della convivenza è che gli uomini stanno tanto in bagno. Anche le donne se è per questo, ma gli uomini di più. Le donne stanno in bagno a truccarsi, ed escono tutte dipinte come certe professioniste dell'autostrada, ma i maschi stanno in bagno delle ore a fare la popò. Com'è possibile che un uomo per questi servizi stia in bagno venti minuti? Pensa. Pensa? Pensa e legge. Il marito di una mia amica ha letto tutto il libro di Faletti in bagno. Seicento pagine. Lei andava a fare pipì dalla vicina. Altro rituale la doccia. Gli uomini non si lavano. Stanno sotto l'acqua che scorre per delle ore, così quando lei decide di farsi la doccia, l'acqua calda è finita». Ma tutte le colpe le hanno gli uomini? E le donne? «Anche le donne hanno le loro pecche e nel libro sono tutte elencate. Siamo davvero dei mostri. Mettiamo il gambaletto di leacril nocciola antistupro, che sono orrendi. E poi dicono che le donne debbono fare riunioni d'autocoscienza contro le violenze e i maniaci. Ma bastano due euro e con quelle calze lì si è al sicuro. Mettiamo che un maniaco ci fermi e ci spogli: quando vede quelle calze lì dice va va, levati dalla circolazione». Ma forse le coppie vanno in crisi perché le donne fanno sempre meno figli? «Dicono le statistiche che noi donne un figlio lo facciamo attorno ai quarant'anni perché prima dobbiamo: studiare, uscire dall'università, cercarci un lavoro, una casa, un fidanzato, convincerlo a fare un figlio e poi convincerlo a non mollarci quando gli diciamo di essere incinte. Un momento: com'è possibile che quella donna delle patatine della pubblicità che non avrà più di vent'anni, abbia un figlio di sette anni? Quando l'ha fatto? A tredici anni come in Africa?». Lei, che cosa si aspetta da un uomo? «Che cosa mi aspetto da un uomo? Quando piove che mi apra la portiera e non tenga l'ombrello lui e mi lasci fuori della macchina. Non ho delle richieste particolari. Chiedo attenzione, solo un po' più d'attenzione, di ridurre il suo orizzonte, di non pensare solo a se stesso». Ma non c'è la par condicio anche fra i sessi? «Certo, infatti adesso quando vogliono farci i complimenti ci dicono che siamo donne con le palle. Che secondo me è una cosa orribile. A me non fa piacere sentirmi dire che ho certi attributi, perché non ho mai avuto invidia del maschio. Nostalgia, qualche volta, sì. Riusciamo ad andare a lavorare, occuparci della casa e dei figli, e magari possiamo dare questa impressione. Ricorda il proverbio che dice: dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna? E dietro una grande donna? Una casa che va a ramengo, un marito che si lamenta, dei figli che strepitano: un disastro». A quali proposte risponderebbe «Col cavolo» in questo momento? «Se mi proponessero di sposarmi. Premetto che convivo, ma l'idea del matrimonio, se non gli dai una valenza di carattere religioso penso che in questi ultimi tempi abbia perso il suo senso migliore. E poi mi fa fatica dire per sempre. Promettere che una cosa sia per sempre è inaudito: non c'è niente per sempre, neanche la Carrà, neanche Pippo Baudo». Perché, secondo lei, in televisione c'è sempre più volgarità, e anche lei non si nega qualche parolina forte? «Ma intanto la televisione si può spegnere, e poi ci sono volgarità più assolute del mio linguaggio allegramente colorato. La maggior parte di quello che vediamo in televisione, secondo me, è profondamente volgare anche quando non dicono le parolacce. Anche il fatto che la nostra vera realtà sia la televisione, è credo, profondamente volgare. A volte la parolaccia, la trasgressione, l'esagerazione - e io magari sono la prima portavoce di certe intemperanze verbali -, fa ridere, smitizza certe situazioni, toglie la sacralità di certi luoghi. Ma se poi anche la parolaccia non fa ridere, a che pro?». È facile far ridere? «Sembra facile fare il comico, ma non lo è. Uno pensa: tanto si tratta di dire stupidaggini. In un certo senso è così, ma dentro ogni stupidaggine ci deve essere un piccolo pensiero intelligente. Questo è fondamentale e fa la differenza e allora significa leggere libri e giornali, ascoltare le persone, elaborare queste cose, metterle nel proprio personale cervello e farle frullare per sfornare una storia che faccia ridere».