LAZZARO SPALLANZANI
Il biologo che mise le mutandine ai rospi
UN SAGGIO RIEVOCA LE RICERCHE E LE PERSECUZIONI DI UN PIONIERE NELLO STUDIO DELLA RIPRODUZIONE
Eugenia Tognotti (*)
NEGLI Anni 70 del Settecento, il secolo dei Lumi e della nuova scienza, il sacerdote scienziato Lazzaro Spallanzani, padre della Biologia sperimentale, condusse una serie d'esperimenti di fecondazione artificiale. Cominciò con gli anfibi e giunse a dimostrare che lo sviluppo embrionale nelle uova di rana non iniziava spontaneamente (secondo la concezione dominante allora), ma che era necessaria la presenza del "fluido seminale" maschile. L'esperimento comportò il perfezionamento del metodo a cui era ricorso, senza successo, un naturalista francese, che aveva ideato delle "culottes" di taffettà cerato da far indossare al rospo, per evitare che il suo seme venisse a contatto, nell'accoppiamento, con le uova della femmina. I tentativi dell’abate modenese per ottenere che lo scomodo indumento rispondesse allo scopo andarono invece in porto, aprendo la strada agli esperimenti sui cani. Presa una barboncina di medie proporzioni, rinchiusa fino al momento dell'estro, le iniettò nell'utero, con una siringa, il seme di un cane della stessa razza. A tempo debito la cagnetta partorì tre cuccioli, perfettamente sani e somiglianti ai genitori. La gioia, raccontò lo sperimentatore, "fu una delle maggiori che abbia provato in mia vita, doppoché mi esercito nella sperimentale Filosofia". Spinto da una divorante curiosità scientifica, Spallanzani condusse molti esperimenti che comportavano una "manipolazione della vita", per usare un'espressione diffusa ai nostri giorni; e che sfidavano gli schemi filosofici della scienza del tempo. Singolari, ad esempio, per un prete cattolico, furono quelli tesi a comprendere se le leggi di natura sull'irreversibilità della morte conoscessero eccezioni; come sembrava dimostrare il caso di alcuni minuscoli animaletti, i rotiferi e i tardigradi, presenti nel muschio dei muri, nelle grondaie, e in consimili "nicchie" ecologiche. Lasciati essiccare, si deformavano e rimpicciolivano fino a trasformarsi in un grumo informe di materia. Reidratati, tuttavia, anche dopo un lungo periodo, riacquistavano vita e capacità di movimento. Un fenomeno denso d'implicazioni filosofiche che sgomentava il pur impavido Spallanzani, tanto da spingerlo ad interrogare inopinatamente il miscredente Voltaire, "il primo Genio del secolo". Che ne era della loro anima, gli chiedeva ansiosamente in una lettera, nel tempo in cui erano privi di vita? A questa domanda il filosofo francese non si sottrasse, affermando, sarcasticamente, che anche lui sarebbe stato curioso di sapere perché "l'Essere supremo, l'autore di tutto che ci fa vivere e morire, non accordi la facoltà di resuscitare che al rotifero e al tardigrado". Questa ed altre citazioni di lettere e appunti sono riprese da un eccellente libro, appena arrivato in libreria, «Costantinopoli 1786: la congiura e la beffa. L'intrigo Spallanzani» (Bollati Boringhieri) scritto dallo storico della medicina e della scienza Paolo Mazzarello, che insegna nella stessa università, Pavia, del grande naturalista. Mettendo a frutto una particolare attitudine per il genere - non molto frequentato in Italia - della biografia scientifica, sperimentato felicemente con il libro sul premio Nobel Camillo Volgi, pubblicato anche in inglese presso la Oxford University Press (1999), Mazzarello fa emergere a tutto tondo la figura di Spallanzani, grande protagonista della scienza moderna. Con tutte le ombre, tra cui una certa scontrosità e ruvidezza di modi. E, naturalmente, le luci: l'attività di ricerca, spinta da una vera e propria "lussuria della conoscenza" che lo facevano spaziare dall'astronomia alle scienze naturali, alla geologia, alla biologia marina, all'ornitologia, alla mineralogia. Sullo sfondo il contesto scientifico-culturale delle accademie d'Europa e i protagonisti, scienziati, botanici, naturalisti, anatomici, chirurghi. Stranieri e italiani. Alcuni di loro, anzi, colleghi nell'ateneo pavese, montarono - durante un suo viaggio di studio a Costantinopoli - l'infamante accusa di furto di preziosi esemplari naturalistici dal Museo di Storia naturale che egli dirigeva. Protagonisti della congiura, che fece il giro d'Europa, occupando per mesi le conversazioni dei salotti delle varie capitali, erano il botanico Giovanni Antonio Scopoli, il matematico Gregorio Fontana, il suo collaboratore Serafino Volta e l'anatomista Antonio Scarpa. Una storia nella storia, quella dello straordinario viaggio a Costantinopoli e del complotto - ricostruito su documenti inediti - che si snoda con i ritmi di un racconto di straordinaria suggestione. Ma la rivisitazione della vicenda scientifica di Spallanzani suggerisce anche una riflessione: sulla libertà della ricerca e sulla storia della scienza in Italia, dove - come si è visto per la legge sulla fecondazione assistita - non sembra possibile una discussione meditata e distesa sul significato scientifico e le conseguenze sociali dei contributi più recenti della biologia della riproduzione.
(*)Università di Sassari