mercoledì 12 gennaio 2005

ricerca anglosassone:
il matrimonio è patogeno

Corriere della Sera 12.1.05
«Si ammalano meno»
LA RIVINCITA DELLE DONNE NON SPOSATE
Maria Laura Rodotà


La ricerca australiana resa nota ieri secondo cui le donne divorziate o mai sposate invecchiano meglio e si ammalano meno di quelle sposate c’entra qualcosa con la ricerca inglese pubblicata la settimana scorsa secondo cui le donne intelligenti hanno problemi a trovare marito? Accademicamente/scientificamente no; per molte donne che si autostimano intellettualmente e personalmente si sentono una schifezza la seconda ricerca sarà un sollievo, però. E molte altre, sposate e stremate, se hanno la gastrite e le zampe di gallina adesso sapranno con chi prendersela. In quanto: dallo studio della University of Queensland - su un campione di 2.300 donne sopra i 60 anni - risulta che le donne divorziate, vedove o singole «godono di una migliore salute fisica e mentale» delle coniugate.
La coordinatrice della ricerca, Belinda Hewitt, ha commentato: «Forse le donne sposate sono logorate dalla necessità di prendersi cura dei mariti». Forse. I mariti in compenso non si logorano, tra loro e gli uomini singoli non ci sono grandi differenze psicosanitarie. Però. Lo studio dei benemeriti australiani - rassicurante per le non sposate, esplicativo per le altre, via - nella sua apparente neutralità è un inizio di controtendenza; sempre forse. Perché da un bel po’ di tempo la questione «valori familiari» è diventata imprescindibile e multilivello. In America, gli analisti politici spiegano che è stata importante per George Bush, per vincere nei «red states» religiosi e fieramente coppiettari.
In Italia, sotto forma di legge sulla fecondazione assistita, continua a far litigare e imbarazzare l’opposizione. Ovunque, gli s-coppiati di ogni ordine e grado si sentono sempre più socialmente delegittimati; temono di venir considerati esseri sfortunati, fragili, con problemi; come status - sospetto - attenzioni paternaliste sono equiparati ai fumatori. Come i fumatori sono spesso solidali tra loro, ma non basta.
È un nuovo «fascismo sentimentale»? Lo sostiene una studiosa americana, Laura Kipnis, professore di comunicazione di massa alla Northwestern University, in un saggio di cui si è molto parlato, che a fine gennaio uscirà in Italia da Einaudi. Si intitola «Against Love», «Contro l’amore», ma più che altro è contro il matrimonio. Istituzione che secondo Kipnis ha ormai i ritmi e i tempi del lavoro postindustriale: lavoratori e coniugi sono vittime di regole (grazie alle quali si è sempre connessi e sempre raggiungibili e sempre all’opera) e di strutture societarie (feroci ma non stabili come una volta, c’è la flessibilità e il rischio di licenziamento) utili a far marciare l’economia. Ma poi, continua, a volte non ci si sente tanto bene; in caso, conclude, meglio rompere il contratto sociale / matrimoniale. Come alternativa, Kipnis rilancia il libero amore; e difende l’adulterio, che non ha bisogno di essere rilanciato. Ora potrebbe sfruttare la ricerca australiana; e dire che le sue sono idee salutiste. Ma si spera che eviti, sulla salute ci sono più pressioni che sul matrimonio, ultimamente, si sa.