sabato 12 febbraio 2005

abusi contro le donne

L'Unità 12.2.05
«Fermiamo gli abusi contro le donne»
A Bologna convegno europeo dei centri antiviolenza. «Anche qui lontani dalle indicazioni Ue»
Natascia Ronchetti


BOLOGNA Maria Chiara Risoldi dice che spesso le donne si caricano sulle spalle la colpa delle violenze subite, fisiche o psicologiche. A volte cercano di intravedere nella violenza, per sopravvivere, persino qualche forma di amore, e allora anche «uno schiaffo è meglio dell’indifferenza», il silenzio preferibile all’abbandono e al riscatto. Tranelli della mente e del cuore che ben conosce, prodotti da una cultura maschile di cui fanno le spese anche gli uomini. «Nel 99 per cento dei casi, quelli che esercitano forme di violenza sulle donne sono disturbati». Gli abusi contro le donne tra le mura domestiche, sono così tanti, così diffusi in tutte le fasce sociali, che gli esperti del Consiglio d’Europa hanno suggerito di rivedere anche gli obiettivi minimi fissati dall’Unione Europea nel rapporto tra numero di posti di accoglienza per donne maltrattate e numero di abitanti; di portarli da uno ogni 10 mila a 1 ogni 7.500. In entrambi i casi l’Italia è lontanissima dal traguardo, fanalino di coda dell’Europa.
Persino l’avanzata Emilia Romagna, persino l’avanzata Bologna, non riescono a tenere il passo nelle politiche di genere, dice Angela Romanini, della Casa delle Donne di Bologna. «A Bologna, in base alle indicazioni europee, dovremmo avere almeno 150 posti-nucleo per donne maltrattate e per i loro figli quando ne hanno. Ne abbiamo solo 10». Ieri a Bologna si sono date appuntamento responsabili di centri antiviolenza italiani e stranieri. Siracusa, Modena, Firenze, Trieste, Belluno. Bologna, appunto. Con loro, l’assessore comunale a Scuola, Formazione e Politiche delle Differenze, Maria Virgilio. Poi Judith Herman, dell’associazione ungherese Nane, e Rosa Logar, del Wave di Vienna, che presenterà il progetto all’Onu, a New York. Il Wave è la rete europea dei centri antiviolenza che in collaborazione con esperte di Portogallo, Romania, Ungheria, Germania, Finlandia, Austria, Grecia, Italia, ha redatto il manuale europeo per la gestione e l’apertura di un centro antiviolenza. Uno strumento pratico e teorico per aiutare chi vuole aprire un centro o migliorarne il servizio.
Italia fanalino di coda, dicevamo: nella consapevolezza, nell’impegno politico, nelle risorse per le politiche di genere. «Quante più donne avremo nelle istituzioni tanto più queste problematiche saranno affrontate», dice Chiara Sebastiani, docente alla facoltà di Scienze politiche a Bologna, della Commissione Pari Opportunità, Cultura, Università del Quartiere San Vitale. Solo quest’anno l’Istat ha deciso di inserire nel proprio rilevamento anche i dati relativi alle violenze sulle donne. Le dimensioni del fenomeno si conosceranno entro la fine dell’anno. Ma le stime, anche in base alle situazioni negli altri Paesi europei dove i maltrattamenti, in varie forme, riguardano da un terzo a un quarto della popolazione femminile, dicono che circa un quinto delle donne italiane tra i 20 e i 70 anni sono vittime di qualche forma di abuso.
«Se davvero c’è un luogo insicuro per la donna, questo è la casa l’ambiente domestico, delle relazioni con il marito, il padre, i fratelli... «E sono monchi e inadeguati anche i pochi servizi funzionanti in Italia. Monchi nell’approccio, dice ancora Romanini, che si limita ad una gestione dell’emergenza e dell’accoglienza e non prevede piani di azione che agiscano contemporaneamente su più livelli. Manca, dice, una legge, che affronti il problema complessivamente, che contempli «anche un piano di recupero degli uomini violenti», maggiore collaborazione tra le forze dell’ordine. Ma il primo scoglio è culturale, ammonisce Chiara Sebastiani. «La violenza culturale trova molta rappresentazione anche nei mass media, nessuno pensa che il grosso dei rischi per una donna è tra le mura domestiche, a causa della violenza di un uomo che quasi sempre è cresciuto a sua volta nella violenza». Maria Virgilio ricorda che la giunta Guazzaloca aveva manifestato più volte la propria ostilità alla Casa delle Donne, e rammenta il caso recente del medico bolognese che si è ucciso dopo aver ucciso la figlia. «Dopo è emersa una storia di abusi anche nei confronti della moglie. Eppure che si diceva di lui: stimatissimo...».
Gli strumenti normativi per intervenire in «simili casi ci sono, ma tutto si muove con lentezza», dice Risoldi. «La vittima non deve essere lasciata sola, la società ha il dovere di schierarsi, senza dimenticare che il copione della violenza si ripete, e allora si ritrovano madri vittime di violenza che sono violente con i figli, un copione anche tra coppie omosessuali, donne o uomini che siano...». Spirale perversa. Risoldi mette a nudo anche l’incompletezza della formazione nelle facoltà di Psicologia, «dove non si incrocia un percorso di genere e di differenza», sicchè accade spesso che uno psicologo uomo non possieda gli strumenti per aiutare adeguatamente una donna che ha subito violenza». La società maschile inanella varie forme di «difesa»; e allora quante volte capita di sentire: «è la donna che se la cerca»; quante volte, dice Risoldi, a una donna maltrattata si chiede, colpevolizzandola: «Scusi, ma cosa ha fatto per irritarlo così?».