sabato 12 febbraio 2005

Ammaniti
fare i conti col padre

Corriere della Sera 12.2.05
POLITICA E PSICANALISI
Lo studioso Ammaniti: ho sempre pensato che il ruolo del genitore fosse all’origine della competizione tra loro
Piero, Walter e Massimo: quando diventare leader è fare i conti col padre
Fassino rimase orfano a 16 anni, Veltroni quando era ancora un bambino

di Maria Latella

ROMA - Si resta figli per sempre, ed è una condizione alla quale non si sfugge neppure diventando il capo di un partito di massa, dunque il padre (secondo alcuni, il fratello maggiore) di tanti altri. Al termine del congresso Ds, Piero Fassino ha voluto un filmato che rendesse omaggio agli uomini della Resistenza e, implicitamente, ha così reso omaggio a suo padre, Eugenio, comandante partigiano. Sul suo rapporto filiale, crudelmente spezzato dall’improvvisa morte del padre, è tornato anche nell’intervista concessa a Stefania Rossini dell’ Espresso . «Lei ha fama di irascibile» ricorda la giornalista. E Fassino: «Non sfuggo al conflitto, però lo soffro intensamente. A me è mancata quella sana ginnastica con l’autorità paterna che ogni adolescente vive nel suo sviluppo normale. Mio padre morì che avevo 16 anni, non mi dette il tempo di misurare le mie forze con le sue». È una singolare coincidenza, o forse no, chissà, che due dei tre uomini con i quali viene sempre identificato il vertice dei Ds, Piero Fassino e Walter Veltroni, siano orfani e orfani dall’infanzia, Veltroni, dall’adolescenza, Fassino. Veltroni che non ha quasi conosciuto suo padre, morto che lui era piccolo. Fassino che lo perde di colpo, imprevedibilmente. Un mattino Eugenio Fassino accompagna il figlio a scuola, dai gesuiti. Due ore dopo un insegnante avverte il giovane Piero: «Tuo padre non sta bene, ha avuto un ictus».
Il presidente dei Ds, Massimo D’Alema, ha invece una storia diversa eppure, anche qui, il rapporto genitore-figlio conta e, chissà, influisce sulla politica. Giuseppe D’Alema era un padre fierissimo di quel suo ragazzo tanto promettente. Già coltivava aspettative alla sua nascita. Si racconta che davanti al neonato Massimo preconizzasse: «Questo deve diventare segretario del partito». Mica facile restare all’altezza dei sogni paterni (e materni). Né è semplice essere figlio di genitori comunisti, benché, anni fa, un film belga sostenesse il contrario, che fosse insomma una fortuna «aver avuto genitori comunisti».
I genitori comunisti, invece, vivevano alcune inflessibili rigidità e sembra difficile immaginare il giovane Massimo alle prese con la «sana ginnastica con l’autorità paterna» di cui parla Fassino. Avrà certo preso le distanze dal padre, come capita ad ogni adolescente, ma non ha mai rotto, mai è passato - per dire - con Lotta Continua. Metaforicamente, è rimasto nella casa del padre.
«C’è una mancanza, un buco che niente ha colmato» ha detto Fassino all’ Espresso . Di quell’assenza, il segretario Ds non parla in pubblico, ma nella sua abitazione romana le foto di Eugenio Fassino si vedono dappertutto, anche quelle in divisa da partigiano. Ogni anno, con la madre e, talvolta, con la moglie Anna, il segretario Ds rispetta un appuntamento voluto da suo padre. Si reca in un cimitero nascosto nei boschi piemontesi, un cimitero realizzato da Eugenio Fassino per i partigiani morti in quella zona, e con le famiglie di quei defunti trascorre l’intera giornata. Quest’estate, vedendo i filmati proiettati alla Convention dei democratici, a Boston, ha subito pensato di copiarli per il congresso, il suo congresso di Roma. «Mi piacerebbe che uno ricordasse la Resistenza» ha detto alla moglie Anna e lei ha capito che sarebbe stato quello il momento importante di un giorno importante.
Per sentirsi vicino al padre che non ha di fatto conosciuto, il piccolo Walter Veltroni ogni giorno apriva una cassapanca che ancora conservava i vestiti di lui. Stendeva una giacca, un paio di pantaloni sul lettone della mamma e poi... «Poi ci si sdraiò sopra, mise le braccia sulle maniche e le gambe sui pantaloni. Si sentì grande e figlio, in una volta sola». Il sindaco di Roma l’ha raccontato in Senza Patricio , l’ultimo libro veltroniano, purissima operazione di autoanalisi, storie inventate inseguendo la frase «Patricio te amo, papà» colta di sfuggita su un muro di Buenos Aires. Cinque racconti in cui c’è sempre un padre che insegue il ricordo di un figlio, o un figlio che insegue quello di un padre.
Nella già citata intervista all’ Espresso , Fassino ammette di aver ceduto alla suggestione di conoscersi meglio grazie alla psicanalisi, ma di non aver poi dato seguito all’intenzione. «Per mancanza di tempo». Senza avere la presunzione di supplire, qui ed ora, a quel progetto mancato, pure viene spontaneo chiedere a uno psicanalista quanto del rapporto "padre-figlio" si rispecchi nella storia dei Ds di questi ultimi dieci anni, gli anni di D’Alema, di Veltroni, di Fassino. Curiosamente, ma poi forse nemmeno troppo, lo psicanalista Massimo Ammaniti riconosce di averci pensato a lungo, per fatti propri. «Mi è capitato di rifletterci su assistendo alla competizione tra gli uomini dei vertici Ds. Non poteva avere altra spiegazione se non la mancanza del padre», osserva, pur premettendo che «c’è sempre una difficoltà nell’analizzare le categorie psico-politiche». Anche Ingrao e Amendola competevano, osserva Ammaniti, ma tra i cinquantenni della sinistra attuale il gioco si avverte (avvertiva?) diverso. «Negli anni Sessanta lo psicanalista Alexander Mitscherlich scrisse un saggio sulla «società senza padri». Evidenziava il rischio di una società in cui gli uomini si sentissero tutti sullo stesso piano, come fratelli di una famiglia senza il capo. Nessuno accetta che l’altro prevalga. Quando il padre c’è, invece, è lui a stabilire la gerarchia: primogenito, secondogenito...». I giovani comunisti che, fino al 1984, si riconoscono in un padre, Enrico Berlinguer, si trovano invece, e improvvisamente, senza. Senza padre e, poco dopo, senza più comunismo. Due volte orfani. «Da quel momento, almeno fino ad oggi, nessuno ha saputo più rielaborare i lutti» osserva Ammaniti. Chissà che non abbia deciso di rielaborarli Fassino, parlando del padre, per primo, nell’ufficialità di un congresso. Quanto a Romano Prodi, padre, per loro, non potrà esserlo mai. «Al massimo - riconosce Ammaniti - può essere visto come un genitore putativo. Un san Giuseppe».