Corriere della Sera 12.2.05
Uno studio Usa conferma i detti popolari. La «ferita» si ripara da sola
Il crepacuore è una malattia Come l’infarto, ma è curabile
di GIUSEPPE REMUZZI
«Quel burattino lì è un figliuolo disubbidiente, che farà morire di crepacuore il suo povero babbo!». Che di «crepacuore» si possa morire viene dalla saggezza popolare e fa parte dei modi di dire («Cane randagio assalta un pollaio. Morte di crepacuore 230 galline», Corriere 6 maggio 2003). Certo, non c’erano dati, non si sapeva quando, chi e perché, ma il sospetto che ci fosse qualcosa di vero qualcuno l’ha avuto. E così i cardiologi della Johns Hopkins University, con i colleghi di Boston hanno studiato la sindrome del cuore a pezzi ( broken heart syndrome ) e l’hanno fatto in modo estremamente sofisticato. Di crepacuore si ammalano (e muoiono) di più le donne degli uomini. Succede, quasi sempre, per la perdita di una persona cara, ma può essere per una rapina e qualche volta basta un incidente stradale. Andiamo con ordine. Tra il 1999 e il 2003 arrivano all’unità coronarica della Johns Hopkins 19 ammalati (18 donne e 1 uomo). Avevano più o meno 60 anni, ma c’era anche una donna di 77 che aveva perso il marito 6 ore prima, poi una ragazza di 27, e una signora di 32, e una di 87 (la sua unica amica era morta da un’ora). Tutte con un forte dolore al petto, la pressione bassa, e il fiato corto. L’elettrocardiogramma fa vedere alterazioni. Curioso, perché quasi tutti prima stavano bene e mai c’erano stati problemi di cuore. I medici della Johns Hopkins vanno avanti, fanno un’ecografia e trovano che il cuore si contrae molto poco, al punto da far fatica a spingere il sangue nell’aorta. Si delinea quello che i medici chiamano «scompenso acuto di cuore». Tutti questi malati fanno una coronarografia (si inietta un mezzo di contrasto nelle coronarie, le arterie che nutrono il cuore) ma le coronarie sono normali. Cosa sta succedendo?
Con l’idea che tutto fosse causato dall’emozione i ricercatori hanno voluto vedere se per caso non c’entrassero gli ormoni, quelli che il nostro organismo elabora in risposta allo stress, e che vanno a finire nel sangue. In effetti i livelli di questi ormoni (hanno nomi complicati: adrenalina, noradrenalina, dopamina) erano altissimi, in qualche caso addirittura 30 volte più alti del normale. Che troppa adrenalina possa danneggiare il cuore si sapeva, ma con che meccanismo? I dottori di Baltimora hanno pensato prima ad uno spasmo delle coronarie. Ma questo non era molto verosimile perché il dolore si sarebbe manifestato subito, non a qualche ora di distanza dall’evento tragico. Un’altra possibilità è che questi ormoni siano tossici, per il cuore per esempio, perché favoriscono la formazione di radicali dell’ossigeno e questo per le cellule del cuore è insopportabile. Così hanno fatto la biopsia del cuore a cinque di questi pazienti e hanno visto delle lesioni che assomigliano proprio a quelle che si vedono negli animali quando c’è troppa adrenalina. (E si sono ricordati di un lavoro di tanti anni fa che aveva fatto vedere che giovani vittime di omicidi, all’autopsia avevano necrosi di certe parti del cuore senza avere nessuna lesione delle coronarie).
Come è finita? Tutte queste donne e anche l’unico uomo (un signore di 62 anni che aveva avuto il dolore al cuore mentre era in corso in tribunale un processo a suo carico) sono guariti - perché erano in Ospedale, s’intende - e dopo qualche settimana il loro cuore funzionava proprio come un cuore normale. Ma perché erano quasi tutte donne? Questo di preciso non si sa. Forse le donne sono più sensibili degli uomini agli effetti delle catecolamine.
«Cuore a pezzi», «cuore infranto», sembrava retorica, adesso è una malattia. Magari anche più frequente di quello che si pensa. È proprio come se si creasse una crepa nel cuore che poi si ripara, perfettamente, da sola. E com’è che la saggezza popolare ha coniato (chissà quanti anni fa) un termine che oggi si rivela assolutamente accurato sul piano scientifico? È un mistero, e non basta, oggi sappiamo che nel cuore - anche dell’adulto - ci sono cellule staminali che la crepa la possono riparare davvero. Sono cellule relativamente poco specializzate. Forse un giorno sarà possibile prelevarle con una biopsia, espanderle in laboratorio e ridarle allo stesso ammalato per curare l’infarto.
Non è vero, per dirla con Cecco Angiolieri, il grande poeta senese, che «S’è si potesse morir di dolore, molti son vivi che sserebber morti». Di dolore si muore, e come, salvo non arrivare in tempo in un buon ospedale.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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