sabato 12 febbraio 2005

embrione
come la vede Ferrara...

Il Foglio 11.2.05
L’embrione sul lettino
Benoît Bayle, psichiatra perinatale, spiega perché non è indifferente il modo con cui si è concepiti. Tecnica e selezione preimpianto non sono senza conseguenze per la psiche del bambino nato dalla provetta


Parigi. “Casimir, cinque anni, è nato a seguito di fecondazione in vitro. Dopo la fecondazione di numerosi ovuli, sono stati concepiti dieci embrioni. Tre sono stati immediatamente trasferiti in utero, altri due sono stati distrutti, perché non potevano essere congelati e altri cinque embrioni congelati sono tuttora conservati. Casimir chiede spesso un fratellino, ma i suoi genitori non sono disponibili. La madre, ora quarantaduenne, si è inserita nel mondo del lavoro dopo anni di dure prove subite a causa della sterilità. Il laboratorio che conserva gli embrioni ha scritto più volte ai genitori, perché il termine legale di conservazione è scaduto. Ma loro non si decidono a rispondere a quella lettera, che significa l’abbandono degli embrioni… ”. E una delle molte storie raccontate da Benoît Bayle, psichiatra perinatale all’ospedale di Chartres, nel suo libro intitolato “L’embryon sur le divan. Psychopathologie de la conception humaine” (Masson). Al Foglio, che lo ha incontrato, spiega di voler “esprimere una preoccupazione, un’inquietudine che riguarda tutta la nostra società. Quando si tratta dell’origine dell’essere umano, le questioni in ballo sono troppo importanti per far finta che non esistano. Quale sarà l’impatto di questi concepimenti embrionari multipli? Come si inscrivono nell’immaginario dei genitori e del bambino sopravvissuto la morte e l’abbandono di questi embrioni usciti dalla stessa scena concezionale? Il figlio nato da procreazione artificiale va considerato fantasmaticamente come un sopravvissuto, riuscito a sfuggire alla potenza mortifera di tecniche che mettono in pericolo la sua esistenza?”.
La psicopatologia del concepimento, materia di cui Bayle è studioso, non è certo tra le più note al grande pubblico. Ma a essa sono affidate le speranze di trovare risposta a quelle come ad altre domande troppo spesso eluse. Secondo Bayle, “non è affatto sorprendente imbattersi in patologie psichiatriche nella popolazione dei bambini concepiti artificialmente, anche se non dobbiamo da questo tirare arbitrarie conclusioni che depongano a favore di una prevalenza del rischio psichiatrico tra i concepiti artificialmente rispetto ai concepiti naturalmente. Tuttavia, alcuni casi clinici dimostrano che il contesto del concepimento influenza lo sviluppo psicologico di quei bambini”. Di quel nesso si occupa Bayle, al quale chiediamo se sia possibile predire una patologia psichica di cui potrebbe soffrire un bambino non ancora nato: “Diciamo che è già una cura cercare di liberare il concepito da una problematica che si costituisce durante la gravidanza. Ma non bisogna cadere nel determinismo: è un modello che rifiuto. Io non individuo patologie, ma problematiche psicopatologiche. Un esempio tra tanti, e non legato alle tecniche di procreazione artificiale: un bambino concepito dopo la morte precoce di un fratello o una sorella può essere segnato da un’ansia particolare durante la gravidanza, i genitori possono avere difficoltà ad amarlo perché significa in un certo senso dimenticare quelli che non ci sono più, oppure vivere con il terrore costante che quanto accaduto si ripeta ancora, che il bambino muoia. Tutti questi problemi possono comparire, non sono obbligatori, possono essere fisiologici e non patologici o, al contrario, l’assenza di questi problemi potrebbe essere problematica. Se ci si situa in termini di psicopatologia del concepimento, si possono individuare elementi suscettibili di pregiudicare lo sviluppo del bambino e si cercherà di attenuarne gli effetti”.

Un’identità non solo biologica
Alcuni anni fa Bayle ha avuto modo di lavorare in un centro di procreazione medicalmente assistita (pma). Spiega che per lui “è prioritario capire meglio il concepimento umano in sé, e se sia possibile individuare problematiche psicologiche esistenti fin dal concepimento del bambino. Lo psichiatra perinatale si interessa alla gravidanza e al post partum, fino a circa un anno di età del bambino. Cerco di dimostrare che si possono individuare problematiche psicopatologiche fin dal concepimento. In questi casi si deve seguire, naturalmente, la madre, ma in una prospettiva nuova: liberare il bambino che deve nascere da problemi già individuati. Non c’è ormai più bisogno di dimostrare come la gravidanza sia un momento di profondi sconvolgimenti psichici nella donna. La mia idea è che bisogna interpretare questi sconvolgimenti non soltanto dal punto di vista della donna che diventa madre, ma anche come interazione tra la donna e il nascituro, lui stesso portatore di un’identità particolare. E’ questo l’elemento nuovo della psicopatologia del concepimento: il bambino è portatore di un’identità che non è soltanto biologica, di un’identità concezionale d’ordine psico-socio-culturale che può influenzare il suo sviluppo. Attenzione, non sto parlando di un embrione che pensa o dotato di una coscienza di sé. Io dico che l’embrione non è soltanto un corpo biologico, ma un corpo soggettivato, portatore di una storia”.
Da questo punto di vista, allora, il concepimento in vitro può essere considerato di per sé un’“anomalia” foriera di problemi futuri? A giudizio di Bayle “è sempre pericoloso parlare di patologia del concepimento. Direi che in generale possono esistere problematiche ambientali e identitarie. Posso dire che l’identità di un essere concepito attraverso pma è particolare. Diciamo che di norma un bambino è concepito da un uomo e una donna: ha una struttura psicogenetica che lo collega all’uomo e alla donna che lo hanno concepito. In un concepimento artificiale, questa struttura viene modificata: si stabiliscono nuove relazioni del soggetto rispetto alla propria identità e rispetto all’ambiente esterno. Verrà infatti sì concepito da un uomo e una donna, ma con l’aiuto di un terzo, il medico. Questo terzo soggetto non è cosa da poco, visto che è all’origine della sua stessa vita. L’essere così concepito ha già un debito nei confronti della società (o della tecnica, o della scienza o della medicina), cui deve una parte della sua esistenza. Dunque viene modificata una parte della struttura identitaria dell’essere concepito. In termini identitari, inoltre, un bambino nato con fecondazione assistita viene concepito al di fuori del sesso: la sua origine è al di fuori della sessualità carnale psicoaffettiva. E’ una particolarità. Dire ciò che può significare è per ora impossibile, ma non si tratta di questioni banali”.
Ma la particolarità non è propria di qualsiasi concepimento? La pma non appartiene all’ambito più profondamente intimo della coppia come il concepimento naturale? “E’ vero che la sessualità dei genitori è nascosta, implicita, intima e il bambino concepito è l’incarnazione dell’amore carnale psicoaffettivo dei genitori. Anche nel caso della pma il bambino è senz’altro l’incarnazione dell’amore dei suoi genitori, che lo hanno molto desiderato. Con una particolarità non da poco: quello che dovrebbe far parte dell’intimo diventa in qualche modo di dominio pubblico. Si verifica un’intrusione della tecnica nell’origine dell’essere. E’ una particolarità che dà luogo a una molteplicità di sviluppi possibili, in grado di avere su alcuni bambini un impatto patologico e su altri no. L’importante, per me, è non negare la particolarità. Sono sempre più convinto che il concepimento non sia soltanto un atto genetico, ma sia allo stesso tempo un fenomeno biologico e psico-socio-culturale. E l’essere umano si situa, fin dal suo concepimento, su questi due registri. La pma, innegabilmente, modifica in parte questi registri e conferisce al bambino una storia particolare. Penso per esempio agli embrioni ‘persi’, a quelli congelati, a quelli che non si annidano dopo un trasferimento, a quelli eliminati in caso di gravidanza multipla a rischio con il cosiddetto aborto selettivo. Tutto ciò partecipa già alla storia dell’essere umano concepito, potrebbe segnarne lo sviluppo o condizionare i rapporti con i genitori. Può per esempio crearsi un legame particolare con il bambino nato con pma, dopo una serie di tentativi falliti ed embrioni persi”.

I problemi del figlio troppo desiderato
Si può obiettare che in questo senso le tecniche di fecondazione assistita non inventano molto. Possono esserci bambini nati – naturalmente – dopo aborti spontanei a ripetizione, dopo aborti terapeutici o dopo interruzioni volontarie di gravidanza… “E’ vero – risponde Bayle – la procreazione medicalmente assistita non ha inventato nulla da questo punto di vista, ma ho l’impressione che concentri una serie di eventi importanti. Si crea un legame precoce con l’embrione, perché se ne ha notizia fin dal concepimento. In realtà la pma è la parte emersa di quel gigantesco iceberg che è la rivoluzione del concepimento. Mi colpisce, per esempio, la nozione sempre più diffusa di ‘figlio desiderato’ su cui riposa la rivoluzione concezionale e che sottintende l’eliminazione dei figli non desiderati. Ecco: si ha torto di credere che l’eliminazione dei non desiderati non significhi nulla, non resti nella teste della gente soltanto perché quelli non nasceranno. Il lavoro psicologico sul concepimento dimostra, al contrario, che resta uno spazio per questi bambini non nati, che fa gravare sui figli desiderati un peso particolare, un debito, una missione non facile: corrispondere a un desiderio. Il figlio desiderato non può deludere, né al momento del concepimento né per tutta la vita. L’evoluzione in atto rende lecito chiedersi davanti a qualsiasi bambino concepito: lo tengo? E’ importante affrontare e studiare questa problematica per la nostra società. Quello che mi preoccupa è che nella medicina della riproduzione il peso della morte diventa sempre più importante. Se ne deve misurare l’impatto. L’uomo deve fare i conti con la propria distruttività, non imparare a conviverci. E’ quello che ha fatto sinora, con la dichiarazione dei diritti umani, condannando la tortura e le guerre. E’ giusto che ora riflettiamo su questo tipo di distruttività implicita nella rivoluzione concezionale che stiamo vivendo. Stiamo modificando la struttura psicogenetica dell’uomo. E questo merita una riflessione, scientifica, umanistica, filosofica”.